venerdì 30 novembre 2012

Merci, Jacques Audiard!

Ammetto che prima di questo film non conoscevo il regista francese Jacques Audiard, ma posso senza ombra di dubbio affermare che adoro il suo modo di usare la macchina da presa. Ogni inquadratura quasi sfiora gli attori, facendoti sentire il loro respiro e quei primi piani così intensi ti fanno credere di accarezzare i loro pensieri.
Ispirato all’omonima raccolta di racconti dello scrittore canadese Craig Davidson, Un sapore di ruggine e ossa è un film drammatico, potente e vibrante con una giusta dose di romanticismo, dove spesso non c’è neanche bisogno di parlare visto che la potenza delle immagini parla da sé (es.: le lotte clandestine a rallentatore o il linguaggio del corpo nelle scene di sesso).
Ali (Matthias Schoenaerts) si ritrova all’improvviso a doversi occupare del figlioletto di cinque anni, Sam (Armand Verdure), che non conosce affatto e che non sa come gestire, così decide di andare dalla sorella che abita ad Antibes, nel sud della Francia.
Fortunatamente lì riesce a trovare subito un lavoro come buttafuori in una discoteca, dove conoscerà Stéphanie (Marion Cotillard), una donna bella e algida, che ama essere guardata dagli uomini e sa bene come sedurli. Stephanie non sarà mai alla sua portata ma Ali decide comunque di lasciarle il suo numero di telefono.
All’improvviso un incidente stravolgerà l’equilibrio di ciascun personaggio e le loro vite non saranno più le stesse. Durante lo spettacolo di orche marine nel parco acquatico dove lavora, Stéphanie rimane vittima di un brutto infortunio e le verranno amputate entrambe le gambe e con loro anche la sua sicurezza e la sua bellezza. Non ha più voglia di vivere e tanto meno di pensare di poter esistere costretta su una sedia a rotelle.
Un giorno, però, lei decide di richiamare Ali e da quel momento le cose inizieranno a prendere una piega diversa. Lui sembra non dare peso al fatto che lei sia senza gambe, trasmettendola in qualche modo quella sicurezza che sembrava esser perduta per sempre dal giorno dell’incidente.
Sono entrambi due persone tormentate nello spirito e continuamente in lotta con se stesse e con chi gli sta accanto. Nel frattempo Ali accetta vari lavori pur di guadagnare qualche soldo in più e decide persino di battersi negli incontri clandestini di pugilato a mani nude. Un giorno Stéphanie lo accompagna e rimane particolarmente “eccitata” da quel mondo senza regole dove solo la forza animalesca dell’uomo ha la meglio.
È un film, infatti, che parla di corpi: da una parte quello tumefatto di Ali che usa per farsi strada in un mondo quasi primitivo e dall’altro quello amputato di Stéphanie, imbrigliato nella malinconia e nello scoraggiamento, ma piano piano lei saprà ritrovare un modo per sopravvivere proprio grazie all’amore, risollevando al tempo stesso il destino di Ali, che riuscirà a farcela nella vita sia come pugile che come padre.

mercoledì 28 novembre 2012

Mazzantini & Castellitto: coppia vincente non si cambia

L’attesa di andare a vedere questo film è stata ampiamente ripagata, anche se non è una storia semplice e ti lascia andar via con tanti pensieri e dubbi.
Venuto al mondo è innanzitutto una profonda e appassionata storia d’amore tra due ragazzi ma allo stesso tempo è una storia sulla maternità e sul significato di essere figli.
Tutto ha inizio a Sarajevo, durante le Olimpiadi Invernali del 1984, dove, grazie a Gojko (il talentuoso attore bosniaco, Adnan Haskovic), estroso poeta e guida per la città, una studentessa italiana, Gemma (Penelope Cruz) incontra un giovane fotografo americano, Diego (Emile Hirsch, che inizialmente sembra troppo tirato e artificioso per poi solo alla fine regalare un'intensità espressiva che pochi altri attori sono capaci di trasmettere). I due non riescono a non innamorarsi l'uno dell'altra e proprio lui, con tutta la sua spensieratezza e a tratti scelleratezza, farà del tutto per conquistarle il cuore e farla sua per sempre.
Dopo vari aborti spontanei i due non si danno per vinti e tentano anche l'inseminazione artificiale, ma nulla: Gemma risulta sterile al 97% e quindi è impossibile che riesca a dare un figlio al suo amato Diego.
Fallisce purtroppo anche il tentativo di adozione a causa del passato turbolento fatto di droga e abusi di lui e anche la stessa psicologa (Jane Birkin in una breve ma intensa apparizione) che doveva valutarli idonei a essere dei bravi genitori è dispiaciuta e li congeda dicendo proprio che non se lo meritano perché due ragazzi così buoni non li aveva mai incontrati.
Nonostante tutto lui non smette di amarla neanche per un secondo; eppure qualcosa per Gemma è cambiato.
Si sente inutile e ha paura di perdere l'uomo che ama. Come aveva svelato lei stessa alla psicologa, l'idea di avere un figlio non era tanto legata a una forte voglia di maternità quanto all'avere un “lucchetto di carne” capace di tenere legato a sé l’uomo che ama veramente.
Gemma continua a sentirsi difettosa e non può pensare a un futuro senza figli.
Cosa fare allora? Lasciarsi? No, i due provano l'ultima strada rimasta. Decidono di tornare a Sarajevo in pieno tempo di guerra e, andando a trovare i loro vecchi amici, tentano di trovare una donna disposta a prestare il proprio ventre per procreare un figlio loro. Incontrano Aska (Saadet Aksoy), una giovane e bella musicista disponibile a prestare il suo utero in modo da accogliere una gravidanza e cedere poi il piccolo nascituro in cambio di soldi. Il senso di colpa legato alle conseguenze di quella scelta e non finiranno per smantellare i pochi resti dell'amore che sembrava ancora legare Diego a Gemma. Questa loro storia, infatti, col tempo diventa una storia di guerra anche a livello umano.
Grazie a un gioco continuo di flashback, passati quasi vent'anni, dopo un'inaspettata telefonata di Gojko, Gemma decide di far ritorno a Sarajevo in occasione di una mostra fotografica dei tempi dell'assedio e porta con sé il figlio Pietro (Pietro Castellitto, molto acerbo ma allo stesso tempo tanto realistico nella sua recitazione asciutta), ignaro della verità sulla sua nascita avvenuta in un teatro di guerra ancora in corso. Tornando in quella città, Gemma viene sopraffatta dai ricordi di un amore perduto ma mai dimenticato e verrà messa alle strette con molti segreti taciuti.
Il finale, che certo non vi svelerò, finisce per proteggere il destino di questo figlio tanto amato e desiderato da una verità troppo amara e dura da dover conoscere e con cui convivere. Essere figli evoca qualcosa di più complicato nel nascere semplicemente dal ventre di una donna che può anche non diventare madre di colui che ha generato, perché, dopo tutto, i figli sono di chi li ama.
Il regista, Sergio Castellitto (nelle vesti anche di attore, interpretando il padre adottivo di Pietro), aiutato nella sceneggiatura dalla stessa scrittrice dell'omonimo romanzo (e moglie) Margaret Mazzantini (tornata a lavorare al fianco del marito dopo l'ottima prova di Non ti muovere), è riuscito a descrivere senza troppi sentimentalismi questa storia di amore e odio ma soprattutto di guerra e pace, fatta di tante sfumature e segreti. Spesso è inciampato in immagini troppo cariche di retorica e alquanto inutili, ma non ha certo risparmiato nulla allo spettatore, trasportandolo con dolore in uno scenario di guerra tanto doloroso. Una guerra rimossa dalla memoria degli europei, cullati nel loro benessere, ma tenuta viva dalle persone che l’hanno vissuta.
Come dice Gojko ci vorrebbe un comico per raccontare la guerra dei Balcani, uno come Buster Keaton... perché ancora oggi, a distanza di tanti anni, lo stesso popolo di Sarajevo ancora non smette di interrogarsi su una guerra tanto atroce “che non ha avuto né vincitori né vinti ma solo sopravvissuti”.
Strano a dirsi ma è un film intenso che racconta molto di più con le parole (a volte quasi troppo belle per essere state messe in bocca a dei personaggi che in svariati momenti sembrano tanto perfetti da far ricordare allo spettatore che sono l'invenzione di una penna audace come quella della Mazzantini) che con le immagini o la musica.


lunedì 26 novembre 2012

Una madeleine tira l'altra

Avevo voglia di dolcetti... e così mi è venuto subito in mente un bellissimo film del 2006: Il velo dipinto di John Curran (vincitore di un Golden Globe per la migliore colonna sonora originale). Tratto dall'omonimo romanzo di William Somerset Maugham, la pellicola è ambientata nella prima metà degli anni Venti e narra la delicata e drammatica storia della giovane e viziata Kitty (Naomi Watts), che decide di sfuggire alla sua famiglia, sposando (senza esserne innamorata) il dottor Walter Fane (Edward Norton), il quale per lavoro deve trasferirsi a Shanghai, in Cina. Annoiata dalla vita piatta al fianco di un uomo freddo e apparentemente senza sentimenti, si fa conquistare dal fascino del vice-console americano sir Charles Townsend (Liev Schreiber). Appena Walter scopre l'adulterio della moglie, decide di punirla allontanandola dal suo amante, portandola con sé nella sperduta Mei-tan-fu, dove egli ha accettato di mettere a frutto le sue conoscenze da batteriologo per sconfiggere il colera che affligge il piccolo villaggio.
Quell'esperienza a contatto con la morte porterà la viziata Kitty a vedere sotto una nuova luce quel marito che fino ad allora le era sempre sembrato così scostante. Colpita dall'ammirevole dedizione con cui Walter si prodiga nell'aiutare i malati, anche Kitty deciderà di dare una mano alle suore che gestiscono l'ospedale del marito. Con il tempo entrambi ritroveranno la strada del perdono ma soprattutto riusciranno ad amarsi di nuovo.



Non resisto e voglio condividere con voi quella che, secondo il mio modestissimo parere, è una delle più belle battute del film:

If people only spoke when they had something to say,
the human race would soon lose the power of speech. 

(Se tutti noi parlassimo solo quando abbiamo qualcosa da dire,
l'umanità perderebbe molto presto l'uso della parola.)

Dove ho preso l'ispirazione?
All'arrivo nel piccolo orfanotrofio all'interno dell'ospedale del villaggio la madre superiora offre alla signora Kitty Fane delle madeleine appena sfornate.
Le madeleine (anche piccole maddalene o petit madeleine) sono dei biscotti francesi di origine antichissima, che solitamente hanno la forma di una conchiglia (ma si può optare anche per dei semplici pirottini di carta o qualsiasi altro formato).

Ingredienti: 140 gr farina 00, 80 gr burro, 80 gr zucchero a velo, 4 uova, 1 bustina di lievito, 1/2 limone grattugiato, latte (q.b.) e un pizzico di sale 

Procedimento:
1) Far sciogliere il burro in un pentolino (per evitare di farlo soffriggere, aggiungere un goccino di latte);
3) Nel frattempo sbattere due uova intere e due tuorli insieme allo zucchero a velo, cercando di far gonfiare bene l'impasto;
4) Incorporate poi il burro fuso e la scorza di limone gratuggiato e a mano a mano setacciare la farina con il lievito;
5) Una volta che l'impasto sarà ben amalgamato, versarlo negli stampini fino a metà altezza e infornare a 180° per circa 20 minuti;
6) Lasciar raffreddare e poi spolverare con dello zucchero a velo.

P.s.: Esteticamente non sono un granchè e purtroppo nella foto le madeleine fatte con gli stampini a forma di rosa non si vedono benissimo... ma son buone lo stesso! :P

lunedì 19 novembre 2012

Che gran pezzo di salmone!

Mi sto buttando sul pesce… non è da me! Grazie a una leggera commedia americana del 2000 mi sono cimentata in un piattino gustoso e niente male. Il film in questione è Gun Shy – Un revolverin crisi diretto da Eric Blakeney e interpretato da Liam Neeson (per la prima volta in un ruolo comico), Oliver Platt e Sandra Bullock (in veste anche di produttrice cinematografica). La pellicola non ha riscosso un grande successo di critica e pubblico, ma riesce comunque a divertire nel suo piccolo.


Charlie (Neeson), un agente infiltrato della DEA (un nucleo speciale antidroga dell’FBI), sembra aver perso il sangue freddo di un tempo dopo che è quasi rimasto ucciso durante una retata. Vorrebbe ritirarsi e concedersi una casa al mare, ma i suoi capi glielo impediscono. È l’unico in grado di poter incastrare alcuni capimafia, tra cui un boss italoamericano, Fulvio Nestra (Platt) in affari con un losco mafioso colombiano della famiglia Vaillar (José Zúñiga).
Charlie ha comunque bisogno di aiuto e decide di affidarsi a uno psichiatra, che lo aiuterà anche attraverso delle sedute di gruppo con alcuni manager frustrati e alquanto squinternati, che ben presto, colpiti dai suoi racconti di sparatorie e altro, diventeranno persino suoi amici.
Il suo livello di stress, però, è talmente alto che non riesce a controllare nemmeno il suo intestino e così sulla sua strada incontrerà l'infermiera Judy (Bullock), la regina dei clisteri, che lo aiuterà non solo nel corpo ma anche nello spirito. Tra i due, infatti, è scontato ma nasce del tenero e sarà proprio lei a salvarlo alla fine del film. Non voglio svelarvi troppo ma ci sono delle scene davvero esilaranti come quella di Fulvio e l’amante del boss colombiano in bagno.
Ma la ricetta dove l’ho presa?
Fulvio e la famiglia Minetti si affidano per i loro investimenti a un certo Jason Cane (Andrew Lauer), che li aiuta a riciclare il denaro sporco. Durante un incontro Jason, che nei ristoranti ha la fissa di ordinare sempre per tutti, consiglia al povero Fulvio una specialità: salmone con  crème fraîche e patate a fiammifero.
Provatelo che ne vale la pena…

Ingredienti: 2 filetti di salmone (di grandezza media), 2 patate medie (a pasta bianca), 3 cucchiai di crème fraîche, origano, sale, paprika, pepe nero, olio extra vergine d’oliva e ½ bicchiere di vino bianco

Procedimento:
1) Pelare le patate e tagliarle a listarelle più o meno sottili;
2) Scottare le patate in acqua leggermente salata e poi riporle in una terrina e cospargerle con un pizzico di paprika;
3) Adagiarle poi su una placca da forno e condire con un sottile filo d’olio extra vergine d’oliva;
4) Far cuocere in forno preriscaldato a 200° per 20-25 minuti (N.B.: ogni tanto smuovere le patate in modo che possano dorare bene da tutti i lati);
5) Nel frattempo versare ½ bicchiere di vino bianco all’interno di una piccola pirofila e adagiarvi i filetti di salmone;
6) Insaporire il filetto con un pizzico di sale, una macinata di pepe nero e delle foglioline di origano fresco;
7) Spalmare la superficie del salmone con 3 cucchiai di crème fraîche;
8) Mettere la pirofila nella parte in basso del forno e far cuocere a 180° per circa 20 minuti.

Et voilà


N.B.: La Crème Fraîche, o molto più semplicemente panna acida, è una specialità della cucina francese che si può trovare già confezionata nei grandi supermercati forniti ma semplicissima da preparare anche a casa. Al palato risulta una crema morbida dal gusto pieno e lievemente acidulo, molto usata per insaporire piatti a base di pesce o di verdure ma anche ottima per “pucciare” la frutta fresca. Nei paesi dell’est viene spesso usata come condimento di zuppe e minestre (es.: il borsch, uno dei classici piatti della cucina russa).

Ingredienti: 100 ml di panna fresca, 100 ml di yoghurt magro greco, 1 cucchiaio di succo di limone e un pizzico di sale

Procedimento:
1) Prendere un barattolo da confetture di media capacità e mescolare la panna fresca con lo yoghurt greco, un cucchiaio di succo di limone e un pizzico di sale;
2) Mettere in frigorifero e far riposare il composto ottenuto per qualche ora in modo che si addensi bene.

P.s.: Nel caso venga usata per un piatto dolce, basta togliere dagli ingredienti il sale.
P.p.s.: Va consumata entro pochi giorni.

giovedì 15 novembre 2012

C'est l'Amour!

Amour è un film di una bellezza disarmante, delicato, senza fronzoli e inutili orpelli romanticisti che punta dritto al cuore di ogni spettatore e che si può definire come un vero e proprio inno all'amore.
L'amore tra Georges (Jean-Louis Trintignant) e Anne (Emmanuelle Riva), due teneri ottantenni, insegnanti di musica in pensione, ancora molto innamorati dopo tanti anni di matrimonio, che conducono una vita modesta, fatta di piccole cose come letture e concerti. Le loro vite, però, sono all'improvviso sconvolte da un terribile e inaspettato ictus che colpisce Anne, paralizzando anche la vita del fedele marito che le resterà sempre accanto.
Ha inizio un vero e proprio calvario per Anne, costretta sulla sedia a rotelle con la parte destra del corpo paralizzata, ma Georges decide di non abbandonarla in una casa di cura per anziani e le promette di starle vicino e manterrà la sua promessa anche quando le condizioni della moglie peggioreranno a causa di una ricaduta della malattia. Fino alla fine Georges non vuole smettere di lottare per la sua dolce ma ormai irriconoscibile Anne, sopportando con grande forza e determinazione tutte le conseguenze di quella terribile malattia degenerativa, che, giorno dopo giorno, la sta consumando lentamente nel corpo e nello spirito.
Anche la loro figlia Eva (Isabelle Huppert) è quasi una comparsa nelle loro vite, visto che, sempre molto impegnata, difficilmente trova tempo per andare a trovare i suoi genitori, anche dopo l'aggravarsi della salute della madre. Vivendo a Londra e lavorando come musicista in tutto il mondo, è lontana anche emotivamente da quanto sta succedendo alla madre, ormai prigioniera nel proprio corpo. Il rapporto con il padre è quasi inesistente e non riesce a capire dove trovi la forza di continuare ad accudire l'ombra che resta della donna di cui è ancora tanto innamorato.
Sin dall'inizio della malattia la paura più grande per Anne non è tanto quella di poter morire ma di non poter vivere con dignità e di non avere più il controllo del proprio corpo, rimanendo un peso per gli altri. Quando anche Georges lo capirà, lo spettatore resterà con un nodo in gola nell'assistere all'estrema poeticità del finale.
Il film porta la firma di Michael Haneke ed è risultato meritevolmente il vincitore della Palma d'oro del 65° Festival del Cinema di Cannes. Questo regista ha un modo tutto particolare e rigoroso di presentare ogni scena, premiando delle inquadrature molto lunghe e potenti, quasi dei fermi-immagine, che tendenzialmente potrebbero anche stancare vista l'abbondanza di silenzi in alcuni momenti, ma la dolcezza e la tristezza evocate in questa pellicola così struggente raramente riescono a non far tenere incollato lo sguardo allo schermo.
Racconta con maestria come la vita non è mai semplice e a volte è anche un po' carogna, perché ti mette in ginocchio decidendo di farti invecchiare in un modo così orribile, intrappolando te e i tuoi cari in una voragine fatta solo di sofferenze inconsolabili. La malattia cambia anche i più piccoli gesti di una semplice esistenza: l'andare in bagno, pettinarsi, vestirsi, allacciarsi le scarpe o leggere un libro. Finisce poi per inghiottire e trasformare anche la propria casa, trasformata ormai in una sorta di “discarica” di medicine e pannoloni.
Per chi conosce già questo regista sa quanto sia difficile guardare i suoi film con calma e freddezza, senza restarne “dilaniati”... come esempio basta e avanza Funny Games (2007) con Naomi Watts, Tim Roth e Michael Pitt. Con questa pellicola, però, Haneke riesce a trattare il tema dell'amore e della vecchiaia con grande garbo e oggettività, presentando anche gli aspetti più dolenti della senilità, a cui, per chi ha assaggiato la malattia di un proprio caro, non riesce a restarne del tutto impassibile, in quanto sono capaci di riaccendere tanti di quei ricordi da farti scoppiare il cuore.


P.s.: Davvero particolare nella scena iniziale ritrovarsi come in uno specchio di fronte agli spettatori del Teatro degli Champs-Élysées di Parigi, dove Georges e Anne sono andati per assistere a un concerto di un ex allievo. Questa è anche l'unica ripresa esterna del film che non si svolge dentro all'appartamento parigino dell'anziana coppia.

lunedì 12 novembre 2012

Ecco il primo: ho fatto i tagliolini gamberi e funghi!

Da dove ho preso questa ricetta? Dal film Happy Family di Gabriele Salvatores.
All'interno della cornice di una Milano davvero particolare e quasi irriconoscibile per via di tutti i colori caldi che la avvolgono, due sedicenni, Filippo (Gianmaria Biancuzzi) e Marta (Alice Croci), vorrebbero sposarsi, ma i loro genitori non sembrano voler accettare questa loro decisione dettata in apparenza da un amore (in apparenza) corrisposto. I loro genitori sono due coppie diametralmente opposte. Il padre di Marta (Diego Abatantuono) è un uomo dallo spirito libertino, mentre la madre (Carla Signoris) sembra essere una donna anticonformista e moderna, che non riesce però ad accettare il fatto che la figlia adolescente si sposi così giovane.
Dall'altra parte la famiglia borghese di Filippo, dove può contare solo sull'appoggio di Vincenzo (Fabrizio Bentivoglio), il flemmatico secondo marito della madre, Anna (Margherita Buy). Ecco quindi riunirsi tutti i vari parenti a una cena per conoscersi, a cui viene persino invitato il tizio con cui Anna ha avuto un incidente, Ezio (Fabio De Luigi). In realtà è lui il vero protagonista nonché voce narrante di tutta la storia. Si tratta di uno sceneggiatore deciso a scrivere un nuovo film che dovrà affrontare uno scontro diretto con gli stessi personaggi di cui vuole raccontare la storia. Notevoli oltre alle figure dei genitori anche quella di Caterina (Valeria Bilello), che fa perdere la testa in ascensore al povero Enzo, della Nonna Anna (Corinna Agustoni) e della strampalata mamma di Ezio (Sandra Milo in un "velocissimo" cameo).   
E' quasi impossibile non fare alcun riferimento al celebre romanzo di Pirandello, Sei  personaggi in cerca d'autore, dove gli attori sono una pedina della magia nascosta nella creazione artistica e come nel libro anche nel film lo spettatore si trova di fronte a un esperimento di cinema nel cinema, dove realtà e finzione si fondono magistralmente.
Proprio durante la cena ecco arrivare la nonna un po' svampita che ripropone questo piatto un sacco di volte... da morire dalle risate!


Ingredienti (per 5 persone): 500 gr di tagliolini, 300 gr di funghi champignon, 150 gr di gamberi, 1 cucchiaio di prezzemolo, 1 cipolla piccola, olio, burro, origano, paprica dolce, sale e pepe

Procedimento:
1) Mettere a rosolare la cipolla con un pizzico di sale e un po' di olio extra-vergine di oliva;
2) Quando la cipolla sarà leggermente imbiondita, aggiungere nella padella i funghi già trifolati e salare leggermente insime e a una leggera spolverata di origano;
3) Nel frattempo in un’altra padella far sciogliere una noce di burro e poi aggiungere i gamberi con un pizzico di paprica dolce;
4) Mettere a cuocere i tagliolini in abbondante acqua salata e quando saranno al dente, scolarli e saltarli insieme ai gamberi e ai funghi;
5) Servire con una spolverata di prezzemolo tritato finemente.
... ed ecco a voi il piatto!

P.S.: Se non avete mai visto un film di Salvatores, mi raccomando correte subito ai ripari... c'è l'imbarazzo della scelta tra Marrakesch Express, Mediteranneo, Io non ho paura e molti altri ancora!

venerdì 9 novembre 2012

Che fine ha fatto Keanu Reeves?

Dai tempi delle sue prime apparizioni in Le Relazioni Pericolose o in Ti amerò... fino ad ammazzarti alle parti di maggior successo come in Point Break, Dracula di Bram Stocker, Piccolo Buddha, Il Profumo del mosto selvatico, L'avvocato del Diavolo, The Gift e la famosa trilogia di Matrix, le interpretazioni di Keanu Reeves sono diventate sempre più scialbe e le sue scelte in campo cinematografico sono andate sempre peggiorando. Vedi le commedie come Le Riserve o Hardball oppure i soliti film romantici-strappalacrime come Sweet November, Tutto può succedere e La casa sul lago del tempo. E' riuscito anche a far di peggio, inciampando in progetti cinematografici alquanto scadenti come Constantine o Ultimatum alla Terra.
Anche se negli ultimi anni ha girato diversi film che non sono stati distribuiti in Italia, credevo che si era dato alla macchia. Invece no. Ho scoperto che ha prodotto e "interpretato" il documentario dal titolo Side by Side del regista Christopher Kennelly, che racconta la storia o meglio il passaggio dalla pellicola al digitale. Presentato sia alla Berlinale che al Tribeca Festival, il film tenta quindi di investigare attraverso le interviste di importanti cineasti quali George Lucas, James Cameron, David Fincher, David Lynch, Robert Rodriguez, Martin Scorsese, Steven Soderbergh, i fratelli Wachowski, Christopher Nolan e Joel Schumacher quanto le nuove tecniche filmiche digitali si siano spinte verso nuove inimmaginabili (e opinabili) direzioni.



P.s.: La mia solita speranza è di vederlo in uscita da qualche parte anche in Italia!

lunedì 5 novembre 2012

Quiche Lorraine... tutta la vita!

Per fortuna che c'è il canale Rai Movie a farmi scoprire dei bei film come Ti amerò sempre (2008), scritto e diretto da Philippe Claudel! Una storia drammatica, piena di silenzi malinconici che non danno poi così fastidio come anche quella sua strana lentezza nel modo di raccontare. Il film si dipana pian piano e ti incoraggia a seguire ogni piccolo cambiamento delle vicende legate a ciascun personaggio.
La pellicola venne presentata alla 58° edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino, vincendo il premio della giuria, ma fece man bassa di diversi prestigiosi riconoscimenti come il premio BAFTA come miglior film straniero, il premio Cesàr per la mia migliore opera prima e il premio come miglior attrice protagonista agli European Film Awards.
Dopo aver trascorso quindici lunghi anni in carcere Juliette (una Kristin Scott Thomas magistrale nella sua recitazione come sempre) ottiene la libertà, ma il ritorno alla normalità e alla vita non sarà affatto semplice. Si trasferisce nella casa a Nancy (nella Lorena, a sud-est della Francia) della sorella minore Léa (Elsa Zylberstein), dove vive insieme al marito Luc (Serge Hazanavicius), alle due simpaticissime figlie adottive e al nonno (Jean-Claude Arnaud).
Juliette inizialmente si sente una perfetta estranea anche con la sorella che praticamente non ha visto crescere e non sente di conoscere; eppure grazie all’affetto e all’amore della famiglia di Léa, Juliette riuscirà a sbloccarsi e a trovare un posto nel mondo, uscendo da quella corazza fatta di lunghi e assordanti silenzi.
A causa della sua condanna per infanticidio Juliette era stata abbandonata sia dal marito, che non era riuscito a perdonarla, che dalla sua famiglia, la quale l’aveva completamente cancellata dalla propria esistenza, proibendo anche all’allora adolescente Léa di mantenere qualsiasi tipo di rapporto con la sorella omicida.
Soltanto alla fine, in un crescendo meraviglioso e triste allo stesso tempo, le due sorelle riusciranno a ritrovarsi e lo spettatore viene finalmente a conoscenza delle ragioni per cui Juliette ha potuto compiere un gesto così orrendo.


La prima sera che Juliette arriva a casa della sorella viene servita per cena una Quiche Lorraine ovvero una ricetta tipica della zona della Lorena, che è poi diventata uno dei piatti più famosi della cucina francese nel mondo.

Ingredienti: 1 confezione di pasta brisè, 4 uova, 140 gr groviera grattugiato, 160 gr pancetta affumicata, 200 ml panna, noce moscata, pepe e sale
 
Procedimento:
1) Coprire con la pasta brisè il fondo di una teglia rotonda dal diametro di circa 26 cm;
2) Bucherellare il fondo con l'aiuto di una forchetta e ricoprire la pasta con un foglio di carta da forno colmo di fagioli secchi (o qualsiasi altro tipo di legume a vostra disposizione);
3) Mettere in forno (preriscaldato) a 180° per circa 20 minuti;
4) Trascorso il tempo necessario per far cuocere appena la pasta brisè, togliere i fagioli con la carta da forno e spennellare il fondo con un albume appena sbattuto. Rimettere di nuovo in forno per altri 10 minuti a 160° in modo da creare una bella doratura;
5) A parte tagliare a dadini la pancetta affumicata e scottarla appena in acqua bollente, dopodiché adagiarla sul fondo della quiche insieme al formaggio grattugiato;
6) Sbattere le uova (3 intere e 1 tuorlo) in una ciotola insieme alla panna, un pizzico di noce moscata, pepe e sale;
7) Versare il composto ottenuto nella teglia in modo da ricoprire sia la pancetta che il formaggio;
8) Infornare a 180° per circa 25 minuti;
9) Lasciar riposare la quiche lorraine nella teglia per 10 minuti prima di servirla.


Tanto buona... quanto calorica purtroppo! Quindi se volete alleggerirvi la coscienza potete sostituire la pancetta della farcitura con delle verdure come funghi o zucchine.

venerdì 2 novembre 2012

Voglia di verità!

Dopo il simpatico esordio con Nessuno mi può giudicare, il regista Massimiliano Bruno ha saputo regalare un'altra buona commedia. Se avete voglia di farvi qualche sana risata e trascorrere una serata tranquilla al cinema, questo film leggero e gustoso farà al caso vostro, ma sinceramente manca di quel brio in più per essere spumeggiante al punto giusto in alcuni momenti.
La cornice sullo sfondo è quella di un'Italia ormai allo sfascio (ma non serve certo un film per farcelo notare viste le notizie di ogni giorno), dove tutto ha a che fare con la corruzione, la raccomandazione e specialmente la rassegnazione. Sembra che ormai in tanti abbiano perso la voglia di cambiare e di combattere, dimostrando che è semplice nascondersi, affidandosi alla raccomandazione di qualche dottore od onorevole per avere la strada spianata e trovare un qualsiasi lavoro. Perché purtroppo questo è il nostro paese!
Ed ecco a voi il protagonista di questa storia...
Il senatore Spagnolo (Michele Placido), un politico bugiardo e corrotto, inizia a dire tutto quello che gli passa per la testa senza peli sulla lingua dopo esser stato colpito da demenza frontoparetale. La moglie e i figli stentano a riconoscerlo visto che è diventato un fiume di sincerità in piena. Ammetterà di aver tradito per anni la consorte e di aver usato le proprie conoscenze in campo politico per garantire il successo alla sua prole. Rivelerà al figlio Valerio (Alessandro Gassman) di esser sempre stato un incapace e per questo gli ha affidato un posto in un'azienda che si occupa di ristorazione pur di fargli fare qualcosa.
Ammetterà poi alla figlia Susanna (Ambra Angiolini) di essersi guadagnata ogni ruolo nelle fiction in cui ha recitato solo per merito suo e non certo per la sua bravura come attrice. Anche il figlio anticonformista Riccardo (Raoul Bova) scoprirà di non avercela fatta tutto da solo come aveva sempre creduto, ma che solo grazie alla spintarella dal papà-politico è riuscito a diventare medico presso un ospedale che sta ormai cadendo a pezzi.
La commedia scorre molto bene per tutto il tempo e tutto l'ensemble di attori è riuscito a portare il meglio di sé: Angiolini, magnifica con la zeppola; Bova, stranamente più espressivo del solito; Gassman, bravo come sempre (ammetto che sono di parte) e Placido, brillante e carismatico.
Ma davvero bravi sono i personaggi di contorno e in particolare Sergio Fiorentini e Remo Remotti che interpretano gli anziani degenti nel reparto di geriatria di Riccardo che rischia di essere chiuso.
Come in un percorso di risveglio interiore, messo di fronte a una dura verità, ciascun personaggio riuscirà alla fine a trovare il meglio di sé, a maturare, a riparare gli errori fatti e a sapersi risollevare. Memorabile il discorso finale pronunciato dal politico Placido in un programma televisivo in cui propone il nuovo articolo 140 della Costituzione Italiana: tutti gli italiani hanno diritto di conoscere la verità. Speriamo che prima o poi tutti i politici si decidano a raccontarcela!

Ecco qua una piccola e divertente clip del film, che non ha bisogno di essere commentata!



P.s.: Ho trovato davvero notevoli due scene ma sono sicura che in molti avranno giudicato troppo artificiose o cariche di allusioni di natura politica e sociale. La prima è quella in cui Placido attraversa al rallentatore una folla di ragazzi in sommossa contro la polizia sulle note della famosa canzone Italia cantata da Mino Reitano, ma altrettanto disarmante l'altra scena in cui il padre ammette davanti al figlio-Gassman di aver ricevuto una mazzetta per aver costruito proprio quella Casa dello Studente che ha significato la morte di tante persone durante il terremoto dell'Aquila, una città fantasma ancora sommersa tra le macerie a distanza di anni.