sabato 14 dicembre 2013

Il vento che ti porta via...

Come il vento è un film del regista e documentarista Marco Simon Puccioni, che è stato presentato all’ultimo festival del cinema di Roma e narra la storia vera di Armida Miserere, una donna dura e imperturbabile che nel corso della sua viuta fu a capo di moltissimi dei penitenziari più duri e difficili in Italia, guadagnandosi il soprannome di "la femmina bestia".
Armida (la splendida Valeria Golino, a dir poco magistrale quando è incorniciata in degli strettissimi primi piani) è una donna in apparenza insensibile e dal cuore duro che gestisce da anni un carcere milanese. Anche se la sua vita di tutti i giorni è scandita dagli orari dietro le sbarre, può condividere i malesseri legati al suo duro lavoro con il marito Umberto Mormile (Filippo Timi), il quale è un educatore nello stesso penitenziario.
Vogliono e tentano di vivere una vita normale al di fuori delle mura carcerarie. Sognano un futuro diverso e persino un figlio… ma il destino li castiga e segna la fine improvvisa del loro amore.
Un giorno del 1989 Umberto, affiancato al semaforo, viene assassinato a sangue freddo da due banditi in moto.
Ostinata a trovare i colpevoli dell’omicidio di suo marito, rimugina ogni possibile sgarro commesso nei confronti dei detenuti a cui non si è piegata, ma gli anni passano e la magistratura non sembra essere riuscita a scovare nulla. Armida, allora, sente il bisogno di dover cambiare aria e decide di andare a dirigere il carcere dell’isola di Pianosa (ovvero l’Alcatraz italiana in Toscana), dove si trovano moltissimi dei più influenti boss mafiosi e attendenti di ben note organizzazioni terroristiche.
Ancora una volta Armida viene posta di fronte a un’altra sfida e viene scelta per la direzione dell’Ucciardone a Palermo negli anni caldi dei delitti di mafia e in seguito anche del carcere di Sulmona.
Solo parecchi anni più tardi dall’uccisione di suo marito, Armida scoprirà finalmente la verità: Umberto fu ammazzato a sangue freddo per non essersi lasciato corrompere da un boss della ‘ndrangheta, ma durante il processo i pentiti ascoltati in merito non fanno che gettare fango sul nome del suo uomo e questo diventa insopportabile per lei.
Nel 2003, il giorno del venerdì Santo, Armida Miserere si suicida, sparandosi un colpo di pistola alla testa, sperando almeno che con quel suo “atto di coraggio” riesca a ricongiungersi al suo amato Umberto.
Sono anni che si sente vuota e non riesce più ad amare: la stessa parola amore è vuota di significato. Non le bastano più solo il successo professionale, il rispetto dei suoi uomini, l’amore dei suoi amici e dei suoi fedelissimi cani, la vita non ha più senso per lei. Forse sarebbe stato diverso se avesse avuto un figlio?
Il film non cerca tanto di dare delle risposte su come mai ancora oggi non si siano riuscite a chiarire le cause e i veri mandanti dell’omicidio di Mormile, ma vuole offrire piuttosto il ritratto della vita di una donna forte ma tanto fragile al tempo stesso, che tutti conoscevano per la sua imperturbabilità nel lavoro, ma che nessuno aveva mai osato immaginare sul piano intimo e personale. Questo film, invece, analizza, ciò che pian piano ha inaridito a tal punto il cuore di Armida, che, non essendo riuscita a rialzarsi dopo che la vita le ha strappato via il marito in modo così efferato, è portata a compiere un gesto così estremo. Un film dai toni grigi smorzati solo dal colore del mare, dove le inquadrature asciutte e tanto ravvicinate da voler scrutare a fondo i pensieri dei personaggi sono capaci di creare la giusta suspense fino al finale pieno di commozione, trasportato dalle parole di addio della stessa Armida.
Nel cast del film figurano anche altri attori del calibro di Francesco Scianna, Chiara Caselli, Marcello Mazzarella, Salvio Simeoli, Giorgia Sinicorni, Vanni Bramati ed Enrico Silvestrin.


P.s.: Il film è stato girato in parte anche all'interno del carcere di Montacuto di Ancona.

lunedì 9 dicembre 2013

Mangiare... sparlando

Qualcosa di cui sparlare è una commedia americana del 1995 di Lasse Hallström (noto regista svedese di film come Chocolat, Le regole della casa del sidro e Hachiko), interpretato da una giovanissima Julia Roberts, Robert Duvall, Dennis Quaid, Kyra Sedgwick e Gena Rowlands.
In una tranquilla cittadina del profondo Sud degli Stati Uniti, Grace (Roberts) scopre che il bel maritino Eddie (Quaid) la tradisce e sembra anche da diverso tempo. In preda a una gelosia furibonda decide di mollarlo e di rifugiarsi nella “magione” dei suoi genitori, mentre nel frattempo cerca di riprendersi la sua vita e, incurante di tutti i pettegolezzi che girano sul suo conto, prova a levarsi qualche sassolino dalla scarpa, sparlando un po’ anche dei mariti delle sue amiche, che credono di avere dei matrimoni impeccabili. La sua vita felice e apparentemente perfetta si è sgretolata in un attimo e non sembra così semplice provare a rimettere insieme i pezzi, tornando a fidarsi del proprio compagno… non c’è un vero e proprio happy ending ma qualcosa del genere.
La scena da cui è tratto il piatto è davvero una delle più divertenti del film. Eddie vuol cercare di riappacificarsi con la moglie soprattutto per il bene della loro figlioletta Caroline e Grace, anche se inizialmente titubante, accetta di vederlo a cena e di cucinare per lui qualcosa di davvero “speciale”. Dietro suggerimento della simpatica nonnina vuole dargli una bella lezione, avvelenandolo solo leggermente attraverso quella che viene definita una “terapia omeopatica casalinga”. L’ingrediente misterioso non viene citato in maniera esplicita, ma ammetto che la ricetta di per sé non mi ispirava moltissimo già dal nome: salmone in guazzetto con senape e menta. Mi sono scervellata a cercare la ricetta, ma non credo che come accostamento sia dei migliori… almeno per i miei gusti, quindi mi sono presa la licenza di proporvi il salmone in guazzetto… a modo mio! Spero che vi piaccia!


Ingredienti: 2 fette di salmone fresco, ½ barattolo di pomodori pelati, 1 cipolla bianca intera (di medie dimensioni), 15/20 olive nere, origano, paprika, pepe verde, pepe rosa, zucchero, sale, burro e olio.

Procedimento:
1) Dopo aver fatto sciogliere una noce di burro con un cucchiaio di olio extra vergine di oliva, far rosolare dolcemente la cipolla tritata finemente con un pizzico di sale e di zucchero (che aiuterà a caramellarla appena);
2) Aggiungere poi i pelati e lasciarli cuocere per un po’ di tempo, aggiustando di sale con anche un pizzico di origano, paprika, pepe verde e pepe rosa;
3) Disporre in seguito le fette di salmone e lasciarle cuocere dolcemente da entrambi i lati (N.B. Non commettete l’errore di girare il pesce troppe volte, perché potrebbe sfaldarsi, quindi è consigliabile napparlo direttamente con il pomodoro in pentola);
4) Verso fine cottura aggiungere anche le olive nere e poi disporlo sul piatto e servire ancora caldo.


giovedì 5 dicembre 2013

La mafia NON uccide solo d'estate!!!

La mafia uccide solo d'estate è il titolo dell'opera prima di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif (noto per il suo esordio a Le iene e attualmente presente su MTV con la conduzione de Il testimone), con Cristiana Capotondi, Claudio Gioé e Ninni Bruschetta. La sceneggiatura è stata scritta dallo stesso Pif in compagnia di Michele Astori e Marco Martani e il film ha partecipato all'ultimo festival del cinema di Torino.
La ben nota irriverenza di Pif, un po' camuffata da un sottile umorismo, ha saputo regalare un modo diverso di raccontare la mafia: un'ottima opera prima che spero porterà il suo regista a continuare su questa strada.
La mafia uccide solo d’estate è fondamentalmente la storia d’amore nata tra i banchi di scuola tra i due piccoli protagonisti, Arturo e Flora, ma pian piano si trasforma in un vero e proprio atto d’amore da parte del regista Pif verso la Sicilia e in particolare verso i palermitani, che hanno finalmente iniziato a provare schifo verso coloro che commettevano atti indegni tra gli anni ’70 e ’90, uccidendo proprio coloro che credevano veramente di compiere un servizio alla nazione, lottando per un’Italia migliore e libera dalla mafia. Sin dalla sua nascita il piccolo Arturo ha visto legare la sua esistenza ai delitti di mafia più eclatanti accaduti nella Palermo di quei famosi anni di piombo, a personaggi di spicco e politici influenti quali Giulio Andreotti, che si trasforma per Arturo in una sorta di rock-star: per Carnevale decide di indossare un costume con le sue fattezze; ne ritaglia in modo ossessivo tutte le foto sui giornali e convince persino il padre a regalargli una sua gigantografia da appendere in camera e a portarlo a un suo comizio.
Perdutamente innamorato di una sua compagna di classe, Flora (Cristiana Capotondi, che riesce in un credibilissimo accento siculo), Arturo tenterà in tutti i modi di conquistarla seguendo le mosse in campo amoroso dello stesso premier Andreotti. La convince addirittura del fatto che conosce un mafioso in persona… un ottimo espediente per far colpo su di lei, che si rivelerà invece l’ennesimo fallimento. Arturo ha perso credibilità agli occhi della ragazzina, ma anche col passare degli anni il suo sentimento per lei non sembra cambiare.
Anche se a quel tempo tutti dicevano che i mafiosi non esistevano e per chi veniva ucciso da Cosa Nostra c’era sempre una scusa dietro per giustificarne la morte, non appena le uccisioni iniziano a crescere in maniera esponenziale, il padre della piccola Flora decide di andarsene in Svizzera, perché la Sicilia non è più un paese sicuro… e Arturo? Giura che non si innamorerà mai più di una donna in vita sua, ma dopo diversi anni il destino decide di farli rincontrare.
Flora è diventata l’assistente dell’onorevole Lima, mentre Arturo è stato assunto in una piccola emittente televisiva quasi per pietà e si ritrova a seguire l’inizio della campagna elettorale del politico.
Il suo sogno da bambino di diventare un giornalista d’assalto era andato scomparendo negli anni, ma pian piano il suo cuore sopito e annebbiato da quel dover stare in silenzio o di far finta di non vedere nulla, lo portano a un completo risveglio e a vedere finalmente cosa sta accadendo intorno a lui. Nel film vengono mostrate molte immagini e filmati di repertorio, legate soprattutto alla morte di personaggi di spicco come il giudice Rocco Chinnici (che nel film vive nello stesso palazzo della bambina Flora e aveva cercato di aiutare Arturo a conquistare il cuore della bambina), il commissario Boris Giuliano (il quale fa conoscere ad Arturo-bambino i famosi pasticcini siciliani chiamati Iris) o il Generale Dalla Chiesa (al quale il piccolo riesce a strappare una delle ultime interviste).
L'unico che Arturo non riesce a incontrare o a intervistare è proprio il suo idolo, Giulio Andreotti, che nel film non viene messo sotto una buona luce, anche se non gli vengono attribuiti riferimenti negativi espliciti; al contrario i boss mafiosi come Totò Riina vengono ritratti in modo quasi simpatico, trasformandoli in macchiette buffe e grottesche allo stesso tempo.
Pif ha sentito il forte bisogno di raccontare questa drammatica pagina della storia italiana, che viene spesso dimenticata o citata in modo frettoloso, in modo da lasciare un segno significativo proprio per quella generazione di giovanissimi, che non ha vissuto in prima persona questi eventi. Anche se mascherato con un lieve umorismo nero, questo film è un’opera di spessore da non sottovalutare, che scava fino in fondo al dolore legato a quei ricordi, dimostrando che non bisogna arrendersi all’omertà, ma occorre ribellarsi ai dettami di Cosa Nostra e riuscire a fare la differenza.
Cambiare in meglio è possibile, altrimenti il significato celato nella morte di grandi uomini come Falcone e Borsellino, che hanno davvero tentato di sconfiggere un male tanto grande come quello della mafia, sarà vano.
Bellissima la scena finale dove vengono mostrate tutte le targhe commemorative delle “più famose” vittime di mafia per le vie e i luoghi di Palermo, che vogliono rappresentare un monito dell’impegno e del coraggio di questi uomini, il cui lavoro è stato raccolto e continuato da chi ha saputo prendere esempio dalle loro azioni, volendo finire un progetto lasciato a metà.