giovedì 26 febbraio 2015

Birdman o L'Imprevedibile Virtù dell'Ignoranza

L'ultimo capolavoro del regista Alejandro González Iñárritu con Michael Keaton, Emma Stone, Edward Norton, Naomi Watts, Zach Galifianakis, Andrea Riseborough e Lindsay Duncan non è un film semplice da raccontare, ma allo stesso tempo è un piacere da guardare. 
Anche se il finale è un po’ troppo esagerato, lasciando appese molte aspettative degli spettatori, è un film brillante, divertente, profondo e visionario, sapientemente girato e interpretato da attori bravi in modo stupefacente. Lo dimostra in parte anche l’incetta di premi vinti ai vari festival del cinema che si sono susseguiti e terminati con la presa di ben 4 Oscar per miglior film, regia, fotografia e sceneggiatura originale, che hanno consacrato Iñárritu tra i migliori nell’Olimpo hollywoodiano… nel caso non lo avesse già ben dimostrato con 21 grammi o Babel.
La pellicola narra di Riggan Thompson (Keaton), una star in declino, conosciuto al grande pubblico per il successo ottenuto interpretando i panni di un supereroe alato di nome Birdman, che vuol tentare di tornare alla ribalta proponendo a Broadway l'adattamento di un classico come “Di cosa parliamo quando parliamo d'amore” di Raymond Carver. Lo fa soprattutto perché crede ancora nella propria arte e sa di poter dimostrare di essere ancora bravo a recitare, scrollandosi di dosso la pesante veste da attore di blockbuster.
Rimasto ormai senza soldi, investiti tutti in questa sua impresa teatrale, è insoddisfatto di uno degli attori, che (per un “incidentale” colpo di fortuna), a pochi giorni dal debutto ufficiale viene sostituto da Mike Shiner (uno S-T-R-A-B-I-L-I-A-N-T-E Norton),
il marito di una delle attrici della compagnia nonché uno dei migliori sulla piazza al momento anche se offuscato da un ego enorme, che riesce ad essere se stesso solo quanto veste i panni di qualcun’altro.
Lo spettacolo sembra comunque prendere il via nonostante qualche impiccio dovuto all’inspiegabile improvvisazione portato sul palco dal co-protagonista e da imprevisti legali, sbrogliati con perizia dall'amico e produttore Jake (Galifianakis).
La cosa che stupisce di più è come lo spettatore non riesca completamente a distinguere le fantasie partorite dalla mente di Riggan perché perfettamente amalgamate alla storia e coadiuvate dalla voce del suo alter ego alato che lo perseguita continuamente suggerendogli di abbandonare tutto e ritornare a girare filmetti di serie B dal compenso assicurato. 
Il film comunque non ruota tutto intorno al protagonista principale, ma riesce a dare spazio anche agli attori di contorno come Laura (Riseborough), l’amante di Riggan un po’ stralunata e insoddisfatta, Lesley (Watts), attrice piena di speranze e fiduciosa di sfondare o la spietata critica teatrale del Times (Duncan) pronta a tutto pur di stroncare lo spettacolo e alla figura controversa di Sam (Stone)
, la figlia ribelle di Riggan, che, appena uscita dal centro di disintossicazione, sembra l’unica ad avere i piedi per terra in quel mondo di falsità e cinismo, fatto solo di prime donne e critici teatrali. 
Iñárritu ha regalato un vero esempio di metateatro che può senza alcun dubbio definirsi un’opera d’arte, dandone prova con una grande tecnica usando la cinepresa in un modo incredibile. Non ci sono stacchi improvvisi o cambi di scena dovuti a tagli nel montaggio e si assiste a un flusso continuo di dialoghi in piani sequenza interminabili che hanno tutti luogo all’interno dei vari meandri e il palcoscenico del magnifico St. James Theatre (a parte la magnifica scena di Riggan in mutande che attraversa un’affollata Times Square). Davvero ottimo anche l'utilizzo della musica che scandisce continuamente il ritmo delle scene e addirittura la cadenza dei titoli iniziali e finali.
I temi principali sono certamente la megalomania e la vulnerabilità degli artisti, l'incapacità di essere giudicati e l’importanza che nell’attuale società contemporanea, come dimostrato dall’ascesa dei social network, si dà sempre più importanza all’apparire piuttosto che all’essere: è più semplice ma non così coraggioso rifugiarsi nella propria fantasia pur di fuggire dalla triste realtà di una società sempre più meschina e mediocre, dove i rapporti interpersonali si annientano seguendo l’andamento delle masse?!


P.s.: Il sottotitolo di Birdman ovvero L'Imprevedibile Virtù dell'Ignoranza è in realtà il titolo della recensione della cattivissima critica teatrale, letta al termine del film che consacra ogni aspetto della pièce teatrale portata in scena da Riggan e il resto della compagnia. 

lunedì 23 febbraio 2015

Il risotto piselli e cernia alla Virzì

Visto che ieri sera c'è stata l'87° cerimonia di consegna degli Academy Awards mi è sembrato giusto ricordare che nella rosa dei miglior film stranieri era stato inizialmente incluso anche il meraviglio capolavoro di Paolo Virzì, Il capitale umano, che purtroppo poi non è riuscito ad arrivare alla cinquina fortunata, da cui è risultato vincitore il film polacco Ida di Pawel Pawlikowski.
Volendo ricordare questa monumentale opera cinematografica e di quanti buoni attori vi hanno recitato, ho voluto dedicargli un piatto.
Proprio all'inizio del film si assiste a una cena importante nella scuola dei figli delle due famiglie protagoniste dell’immobiliarista borghese Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio) e del magnate-broker Giovanni Bernaschi (un “detestabile” Fabrizio Gifuni), in cui viene servito ai tavoli un risotto piselli e cernia dal cameriere vittima dell'incidente stradale al centro di tutto il film e che deciderà il destino dei vari personaggi.
Chi mi conosce bene, sa benissimo quanto poco ami il pesce, ma non disdegno cucinarlo; quindi mi sono buttata un po' e ho cercato di inventarmi qualcosa.


Ingredienti (per 3 persone): 250 g riso arborio, 150 g piselli congelati, 1 cernia, 1 spicchio d'aglio, 1 cipolla bianca, 1 sedano, origano, olio extra vergine di oliva, burro, sale, 4 grani di pepe rosa, pepe nero e farina q.b.

Procedimento:
1) Preparare il brodo, facendo bollire metà cipolla bianca, una costa di sedano e le carcasse della cernia insaporendo con un pizzico di sale e qualche grano di pepe rosa;
2) Nel frattempo far rosolare in una pentola uno spicchio d'aglio e l'altra metà della cipolla tritata finemente con un goccio di olio extra vergine di oliva;
3) Aggiungere i piselli e condirli con un pizzico di sale e una spolverata di pepe nero e origano;
4) Giunti a cottura, toglierli dal fuoco, frullarli con un mixer a immersione e metterli da parte;
5) Prendere i filetti di cernia e, dopo averli tagliati a cubotti e infarinati appena, cuocerli in un piccolo tegame dove è stato fatto sciogliere in precedenza un cubetto di burro;
6) Togliere dal fuoco non appena i bocconcini di pesce saranno ben dorati e salarli il giusto;
7) Far sciogliere intanto un cucchiaio scarso di burro in un tegame e far tostare per bene il riso;
8) Continuare la cottura del riso aggiungendo di tanto in tanto il brodo;
9) Quando il riso è giunto a cottura, aggiungere i piselli frullati;
10) Comporre il piatto servendolo in accompagnamento a qualche bocconcino di pesce e una spruzzata di pepe.

martedì 17 febbraio 2015

Pride: l’unione fa la forza

Quest’anno sono stati prodotti e realizzati molti film per il grande e il piccolo schermo attenti alla delicata questione dei diritti LGBT.
Penso in particolare a The Normal Heart che, distribuito dalla HBO, è stato purtroppo passato su Sky in sordina. Un film per la tv veramente bello e struggente, che tocca davvero il cuore, ricordando (come aveva in parte già fatto il meraviglioso Dallas Buyers Club) quante vittime di AIDS sono morte all’inizio della diffusione del virus e quante purtroppo ancora oggi ne muoiano.
Penso a come dopo anni di omertà, l’industria cinematografica sia riuscita a portare sul grande schermo la verità su Alan Touring e la sua macchina taciuta dalla storia per troppo tempo con la pellicola The Imitation Game. Facendo riflettere, anche se per pochi istanti, sulla crudeltà verso gli omosessuali, quando negli anni ’50 essere diversi era ancora considerata una malattia o una perversione.
Fondamentalmente anche alla base di Pride, l’ultimo film per la regia di Matthew Warchus con (una spettacolare e scoppiettante) Imelda Staunton, (il bravo e semi-sconosciuto) Ben Schnetzer, George MacKay, Jessica Gunning, Faye Marsay, Freddie Fox, Dominic West e Bill Nighy, parte dal presupposto che negli anni ’80 tutti gli omosessuali erano considerati dei pervertiti.
Tratto da una storia vera, la pellicola racconta un piccolo fatto accaduto durante gli anni della Tatcher. Tutto ha inizio durante il Gay Pride di Londra del 1984, quando al giovane Mark Ashton (Schnetzer) viene la brillante idea di sostenere oltre ai diritti gay anche lo sciopero in corso dei minatori in tutto il paese contro lo smantellamento di diversi siti estrattivi da parte del governo conservatore della Lady di ferro e contro le spaventose condizioni lavorative sotto terra.
Insieme alla lesbica Steph, Joe (l’unico all’interno del gruppo che ancora non ha fatto coming out), Mike, Gethin e il suo compagno Jonathan, fonda il piccolo movimento LGSM (Lesbiche e Gay supportano i minatori). Iniziano a raccogliere fondi, ma nessuno dei sindacati contattati sembra voler accettare i soldi racimolati solo perché sono degli outsider per la società.
Nonostante le enormi difficoltà economiche dei minatori e delle loro famiglie, il caloroso e cospicuo sostegno da parte di LGSM viene per una pura casualità accettato (anche se con non poche ritrosie) da un piccolo gruppo di minatori ottusi delle remote campagne gallesi. Tra i due movimenti nacque pian piano un forte legame di solidarietà, vista la vicinanza dell’essere accomunati dallo stesso odio da parte delle forze dell’ordine, dei più alti ranghi governativi e anche della stampa. L’unica arma è combattere insieme perché l’unione fa la forza.
Anche se alla fine il movimento operaio fu sconfitto, il film si chiude sapientemente mostrando come l’anno successivo in coincidenza nuovamente col Gay Pride di Londra, accorsero a marciare accanto a gay, lesbiche e transessuali migliaia di minatori, i quali continuarono la battaglia per le rivendicazioni dei diritti degli omosessuali anche in Parlamento. Tutto ciò dovrebbe far riflettere di come in Italia, invece, le cose vanno ancora a rilento e siano impensabili scioperi così ferrei e la compartecipazione di gruppi di estrazione culturale e politiche così lontane.
La sceneggiatura è davvero ottima e costellata da numerosi momenti spassosi come le irriverenti battute delle signore anziane gallesi soprattutto durante il dopo serata dell’evento "Minatori e Pervertiti". 
Pride regala davvero una comicità sana e divertente come non se ne vedeva da tanto tempo, con cui, grazie a una forte simpatia e intelligenza, è capace di far sorridere e riflettere allo stesso tempo.
Va dato atto che, per parlare di diritti e valori imprescindibili, Pride si sviluppa con una tale sagacia che non deve per forza ricorrere alle più dirette ed efficaci armi dell’omofobia e dell’Aids, che, anche se nel film non vengono taciute, non sono messe al primo piano proprio per dare il giusto spazio a una storia che meritava davvero di essere raccontata dopo così tanti anni. 

lunedì 2 febbraio 2015

Alla ricerca della Teoria del Tutto...

La Teoria del Tutto (titolo originale The Theory of Everything) di James Marsh (conosciuto per il documentario Man of Wire ovvero la storia del funambolo Philippe Petit) con Eddie Redmayne, Felicity Jones, Harry Lloyd ed Emily Watson.
Il film è un biopic sulla storia del celebre fisico, astrofisico e cosmologo Stephen Hawking, adattato sulla biografia “Travelling to Infinity: My Life With Stephen”, scritta dall’ex-moglie Jane Wilde Hawking.
Hawking, brillante e promettente laureando in Fisica nella prestigiosa Università di Cambridge, non riesce ancora a trovare un argomento per la sua tesi di dottorato, quando si innamora di Jane, una studentessa di Lettere. Ecco l’inizio di una storia d'amore che non teme il tempo; sarà proprio il tempo al centro delle ricerche del fisico, che riuscirà a sconvolgere il mondo della scienza con le sue teorie all’epoca considerate strambe e sconsiderate.
In parallelo alle elaborazioni matematiche per trovare un’equazione alla base della nascita dell’universo, l’uomo resta imprigionato in un corpo che sembra lentamente abbandonarlo a causa della malattia dei motoneuroni che compromettono muscoli e abilità di linguaggio. Anche se gli fu diagnosticata questa tremenda malattia degenerativa con una prospettiva di vita di solo due anni, egli ha dimostrato al mondo intero di essere sopravvissuto al tempo che non ha certo inghiottito in un buco nero la sua enorme voglia di vivere: “Finché c'è vita, c'è speranza”.
Troppi davvero gli elementi banali e un po’ retorici utilizzati per raccontare una storia così straordinaria che tenta in ogni momento di commuovere gli spettatori.
Il ritmo davvero lento nella prima parte riesce ad accelerare leggermente nel secondo tempo, dove le uniche note positive e rimarchevoli sono senza dubbio la magistrale e (a dir poco) espressiva prova attoriale di Eddie Redmayne (che, con estrema delicatezza, riesce a ricreare la sofferenza con lo sguardo e la mimica facciale senza trasformare la sua interpretazione in una macchietta) insieme alla bellissima e nitida colonna sonora di Jóhann Jóhannsson.
Vale la pena vederlo? Forse sì, solo giusto per conoscere in breve la straordinaria vita di un uomo, che nonostante la malattia, è riuscito ad amare, a costruire una famiglia e allo stesso tempo ad affermarsi nel mondo accademico, scrivendo anche best-seller come “A Brief History of Time”, che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo.


P.s.: Dopo aver già fatto incetta di premi ai vari festival cinematografici, il film concorre anche a ben 5 premi Oscar… si sa benissimo che le pellicole che mostrano volti sfigurati, vite spezzate da tragicità o malattie vincono sempre.