venerdì 27 marzo 2015

Nessuno si salva da solo... mai

Dopo già le numerose e fortunate collaborazioni (Non ti muovere e Venuto al mondo) con la scrittrice (e moglie) Margaret Mazzantini, il regista Sergio Castellitto torna a girare un film tratto da un suo ennesimo bestseller, avvalendosi anche di un cast stellare tra cui Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, e le partecipazioni (piccole ma significative) di Anna Galiena, Ángela Molina e Roberto Vecchioni.
Nessuno si salva da solo è un film in cui ognuno si può rispecchiare (più o meno) nelle ordinarie problematiche della quotidianità dei due protagonisti, Gaetano (Scamarcio) e Delia (Trinca). Trasportati da una forte passione, si sposano giovani, hanno dei figli, ma con il passare del tempo cambiano, maturano e vanno in direzioni opposte, pur restando perdutamente innamorati. 
Castellitto racconta questa storia forte ma in lento disfacimento usando un registro agrodolce, dove il protagonista nascosto è un dolore vivo e sempre presente, che viene rivissuto in ogni dettaglio attraverso dei lunghi flashback durante una cena tra i due, che stanno decidendo dove portare i bambini in estate.
La rabbia, la sfiducia e il rancore sono sempre dietro l’angolo e basta poco per scontrarsi e prendersi a male parole, rimuovendo tutti i momenti belli di una lunga storia d'amore e pur dichiarando di non essere più innamorati l’uno dell’altro, sanno benissimo che non è la verità. 
Nessuno si salva da solo pecca soprattutto nel risultare troppo scontato, anche se racconta con stile una realtà molto vicina alla frustrazione di molte coppie in crisi. 
Forse la parte che preferisco meno è proprio il finale, a dir poco stucchevole, dove la presenza di Vecchioni fa sembrare tutto troppo tirato e irreale.
Resta comunque un’ottima prova attoriale per entrambi i protagonisti: finalmente Scamarcio si è tolto di dosso le sue solite faccette e movenze senza senso, sembrando molto più credibile e divertente anche nei momenti in cui si comporta un po’ da “pagliaccio”; la Trinca, invece, si conferma nuovamente una forza della natura e il suo sguardo, carico di intensità e dolore, comunica molto più di ogni semplice battuta.
Da vedere, anche se questa volta la coppia Castellitto-Mazzantini non ha fatto centro.

venerdì 13 marzo 2015

Il Baccalà di Totò

Se si pensa alla grande comicità partenopea, è impossibile non citare il famoso principe della risata, Totò e il suo fidato braccio destro Peppino De Filippo. Non ci si stanca mai di vedere e rivedere un loro film, anche se si conoscono tutte le gag e le battute a memoria.
Uno dei miei preferiti è proprio Signori si nasce (1960) di Mario Mattoli, noto anche per la famosa battuta "Signori si nasce e io lo nacqui, modestamente".
Ambientato in epoca giolittiana, il film racconta di due fratelli tanto diversi: il barone Pio Degli Ulivi (De Filippo), uomo timorato di Dio e stimato proprietario di una rinomata sartoria ecclesiastica e Ottone (Totò), anche detto Zazà, sciupafemmine squattrinato, che ha sperperato ogni suo avere dandosi alla bella vita. Per una serie di problemi finanziari, Zazà è costretto a chiedere un prestito al fratello, che, riluttante, lo aiuterà, anche se ingannato più volte.
Nascerà una serie infinita di divertenti equivoci e scambi di ruolo, che si concluderanno comunque con un degno lieto fine.
Il piatto di oggi viene più spesso presentato a casa del fedele (e mai pagato) servitore di Zazà, Battista (Carlo Croccolo), costretto ogni giorno a mangiare a casa sua un piatto povero come il baccalà con le patate.


Ingredienti (per 4 persone): 400 g baccalà secco, 1/2 cipolla bianca, 1 kg di patate, 1 costa di sedano, 1 carota, origano, pepe nero, sale, olio extra vergine d'oliva e acqua

Procedimento:
1) Mettere a bagno il baccalà la sera precedente e cambiare l'acqua più volte in modo da togliere più salinità possibile;
2) Il giorno successivo eliminare la pelle e le lische e procedere a tagliare il pesce a cubotti (4x4);
3) Nel frattempo far soffriggere la cipolla, ma fare attenzione e salare solo un pizzico;
4) Non appena la cipolla risulterà un po' dorata, adagiare nel tegame il baccalà a pezzi e ricoprire con le patate, il sedano e la carota tagliati a pezzettoni;
5) Dopo aver spolverato il contenuto del tegame con origano e pepe nero, ricoprire con abbondante acqua calda e lasciar sobbollire per almeno un'ora;
6) Fare attenzione a non mescolare ma scuotere semplicemente la pentola in modo da non disfare il baccalà;
7) Quando le patate saranno ben cotte e il liquido sarà quasi del tutto assorbito, il baccalà sarà pronto;
8) Servire ancora caldo accompagnato con del croccante pane tostato.

giovedì 5 marzo 2015

La malattia di Alice

Tratto dal romanzo autobiografico di Lisa Genova, Still Alice dei registi Richard Glatzer e Wash Westmoreland conta su un cast eccezionale come una magnifica Julianne Moore (che ha infatti vinto l'Oscar come miglior attrice protagonista per questa interpretazione), Alec Baldwin, Kristen Stewart e Kate Bosworth per raccontare le terribili conseguenze della malattia dell'Alzheimer.
La storia introduce con molta delicatezza Alice Howland, una donna bella, brillante e intelligente che, dopo aver festeggiato i suoi cinquanta anni, inizia a perdere colpi, non ricordando più parole o nomi e a trovarsi disorientata in posti a lei conosciuti. Solo dopo alcuni accertamenti medici scoprirà che questo suo lento andare alla deriva è dovuto a una forma precoce di questo terribile morbo. Costretta a lasciare il suo lavoro da linguista presso la Columbia University di New York, inizia il suo “calvario” intrappolata in una casa che amava tanto ma che inizia a non riconoscere più, con accanto un marito che sembra esser più concentrato sulla sua carriera che disposto a sacrificare il suo tempo per godere gli ultimi momenti di lucidità della moglie.
Attraverso la routine lavorativa e quotidiana di Alice lo spettatore inizia a conoscere il suo mondo e il suo modo di fare, in modo che a poco a poco viva lo stesso impatto che la malattia ha su di lei. Davvero strabiliante la lenta e minuziosa trasformazione della Moore nei piccoli gesti ma soprattutto nello sguardo che, catturato da magnifici primi piani, col tempo diventa sempre più spento e vuoto.
Anche se ben interpretati i personaggi familiari di contorno non sono così interessanti al pari della Moore, protagonista assoluta, che offusca persino l’unico personaggio dai tratti più sensibili ovvero la figlia Lydia interpretata da Kristen Stewart.
Sia Sarah Polley con Lontano da lei e Michael Haneke con Amour avevano raccontato in modo decisamente più profondo e toccante l’amore in età senile, che, a causa di questa terribile malattia, vede strapparsi via poco a poco la propria quotidianità.
In questo caso, invece, il film, che purtroppo sembra perdere colpi sul finale, si concentra prepotentemente sul personaggio di Alice, ma non per questo vuole che lo spettatore provi semplicemente pena per questa donna, combattiva fino in ultimo, ma vuol far conoscere al grande pubblico quanto sia infida e silenziosa questa malattia, che ingurgita ogni ricordo e lascia la propria anima intrappolata in un corpo svuotato di ogni emozione.
Solo chi ha avuto parenti o amici che ne hanno sofferto possono capire quanto sia difficile stare accanto alle persone care malate, che, ogni giorno, perdono un pezzetto di sé e diventano irriconoscibili per chi resta accanto a loro.


In una scena Alice è decisa a portare la sua testimonianza come malata di Alzheimer in un piccolo incontro presso l’ospedale del dottore che la tiene in cura e, per parlare della sua difficoltà di esprimersi e la lenta e inesauribile perdita della memoria, cita le magnifiche parole di una poesia di Elizabeth Bishop su quanto l’arte di perdere non sia così difficile da imparare.
Di seguito vi ripropongo la versione originale.

One Art

The art of losing isn’t hard to master;
so many things seem filled with the intent
to be lost that their loss is no disaster.

Lose something every day. Accept the fluster
of lost door keys, the hour badly spent.
The art of losing isn’t hard to master.

Then practice losing farther, losing faster:
places, and names, and where it was you meant
to travel. None of these will bring disaster.

I lost my mother’s watch. And look! my last, or
next-to-last, of three loved houses went.
The art of losing isn’t hard to master.

I lost two cities, lovely ones. And, vaster,
some realms I owned, two rivers, a continent.
I miss them, but it wasn’t a disaster.

Even losing you (the joking voice, a gesture
I love) I shan’t have lied. It’s evident
the art of losing’s not too hard to master
though it may look like (Write it!) like disaster.