mercoledì 25 novembre 2015

IO, AQUILA - Manuale di volo… e di vita

Oggi faccio volentieri un'eccezione e non parlo né di film né di ricette.
Vi è mai capitato di leggere un libro talmente bello o coinvolgente a tal punto da non riuscire a staccare gli occhi dalle pagine? Immagino di sì. Ognuno di noi è affezionato almeno a un libro perché legato a un momento particolare della propria vita, perché leggendolo ci siamo immedesimati nelle avventure dei personaggi o semplicemente perché avremmo tanto voluto vivere nello stesso periodo storico in cui era ambientata quella storia (mi capita sempre quando leggo Jane Austen).
Ma vi è mai capitato che, durante la lettura, le parole sembrino come saltare fuori dalle pagine e prendere vita perché scritte in modo inequivocabile? Pochi scrittori e poeti sono dotati dell'abilità di creare magicamente delle immagini grazie a un uso sapiente delle parole, dei toni, delle pause, dei dialoghi/monologhi...
Tutto ciò per dirvi insomma che per la prima volta posso anche vantarmi di conoscere uno di questi scrittori. Sto parlando di Giorgio Tassi, un bravissimo fotografo con la passione per la montagna ma anche una buonissina penna.
Ha scritto e auto-pubblicato la sua prima opera di prosa "IO, AQUILA – Manuale di volo". Un'opera intima che sa toccare le corde giuste ed è capace di far sorridere ed emozionare allo stesso tempo. Il tono divertente legato ai ricordi da bambino e adolescente si intrecciano perfettamente a quello più profondo che emerge quando si affrontano le questioni amorose, i dettagli intimi della famiglia o l’incontro ravvicinato con un piccolo di aquila, pronto a spiccare il suo primo volo.
È proprio la Natura, animale e umana, la coprotagonista in questo interessante viaggio alla scoperta dei ricordi di un uomo e alla meraviglia del mondo che ci circonda e che troppo spesso ignoriamo nascondendoci dietro protesi tecnologiche invece di ricordarci semplicemente di ammirare e gustare quanto c’è di bello anche nelle piccole cose: “il mondo è perfetto così”.
Attraverso questo libro si ha poi la conferma di quanto la Natura animale non è poi così diversa da quella umana, anzi. A volte anche solo osservando gli animali è possibile notare quanto siano meglio di noi, individui pensanti che si ritengono superiori a ogni altro essere vivente.
Non è un libro che si può raccontare (ma che quasi si può ascoltare, vista l'ottima colonna sonora suggerita tra le pagine): la storia è intessuta in modo sapiente e, proprio come in un film, vengono usati molti flashback, che non disturbano affatto la lettura, perché tutto alla fine combacia come in un puzzle ricostruito alla perfezione. Arrivati all'ultima pagina si è quasi dispiaciuti che il viaggio del fotografo e del suo amico pennuto sia giunto al termine ma si resta come stregati e desiderosi di cogliere ancora uno scatto di quei paesaggi dentro la macchina foto o di poter vivere i profumi degli alberi, dei prati e dei fiori descritti.
Un libro pieno di immagini, suoni e storie da leggere tutto d'un fiato.

A tutti coloro che non l'hanno ancora letto, dedico la poesia in chiusura del romanzo...

Oggi
faccio giuramento solenne
giuro all'aria
a questa materia sottile
chiamo a testimoni
questa canala grigia
l'acero minuto, tutti i faggi, i carpini neri, i ginepri sparsi
chiamo a testimoni borea e meridio
gli albumi scolpiti a caldo
il miagolio di un selvatico
gli asfodeli, gli asfodeli tutti
la borghese imponenza.
giuro,
giuro solenne,
a questo nido che mi ha custodito
alla terra che mi offrirà il cibo
al silenzio
IO, giuro fedeltà
a questa dimora già sazia di Dio
spazio nuvolare
oggi divieni mio regno
recinto sacro
dove si perderà il mio volo
oggi offro giuramento solenne
al sole, alla luna, a tutte le stelle che saprò riconoscere
oggi sono sole, luna, tutte le stelle che so chiamare per nome
giuro su questo calcare giallo
all'attesa che è diventato tempo
al tempo spezzato nello sguardo
allo sguardo che mi ha custodito
ai tuoi occhi
giuro ora
IO AQUILA

P.s.: Se siete curiosi di vedere il piccolo di aquila ripreso sui Monti Sibillini, cliccate qui.

domenica 15 novembre 2015

Rock the Kasbah non convince

Rock the Kasbah è l’ultimo film diretto dal regista Barry Levinson (lontano anni luce da quando vinse il premio Oscar per Rain Man o dirigeva film davvero buoni come Good mornign, Vietnam!, Rivelazioni, Sleepers o Bandits) che vede come protagonista assoluto Bill Murray in compagni di altri grandi interpreti come Bruce Willis, Kate Hudson e Zooey Deshanel.
Richie Lanz (Murray) è un assurdo manager musicale, un po’ mascalzone ma decisamente adorabile, convinto di poter far sfondare la sua unica cantante, Ronnie (Deshanel), con una serie di concerti per le truppe americane stanziate in Afghanistan.
Considerato il disperato scenario di guerra in cui è stata trascinata, la sua cantante (nemmeno così dotata vocalmente come lui vorrebbe far credere) lo abbandona su due piedi e se ne ritorna immediatamente in America. Richie, senza soldi e documenti, dovrà ideare qualche stratagemma per uscire dal paese. Ecco però che il destino gli fa incontrare per caso Salima, una bellissima ragazza di etnia pashtun dotata di una voce straordinaria. Decide di farla partecipare allo show Afghan Star, nonostante ciò significhi sfidare la sua cultura e la sua famiglia, dato che alle ragazze del villaggio sia proibito cantare (un reato punibile con la morte).
Il film, infatti, si ispira al reale fatto di cronaca che vede protagonista la giovane Latifa Azizi, che nel 2013, prendendo  parte a un programma musicale, vince il primo premio grazie alla sua voce, a costo della sua libertà e della sua vita.
Bill Murray non delude certamente ma ne esce poco valorizzato visto che il film ristagna tutto il tempo e non sembra mai decollare: Levinson ha messo troppa carne al fuoco senza sfruttare al meglio gli strumenti a sua disposizione. La comicità del protagonista non sembra amalgamarsi alla perfezione con gli scenari e i contesti più drammatici di quei territori dilaniati dalle guerre e dalle lotte interne, raccontati in modo velato o forse troppo sommario nel film.
La storia di per sé sarebbe stata anche interessante ma di certo la sceneggiatura, alquanto confusa e con un finale lasciato a metà, non ha saputo renderla al meglio: troppi personaggi lasciano lo schermo senza una vera uscita di scena e i pochi che restano non sono descritti a tutto tondo come dovutamente richiesto da un attento spettatore (per esempio il mercenario dal cuore tenero interpretato da un Bruce Willis non al meglio delle sue possibilità e la prostituta della seducente Kate Hudson).


P.s.: Una curiosità riguardo al titolo che si riferisce all'omonima canzone dei Clash, ma che in realtà non compare nemmeno all'interno della (bellissima) colonna sonora del film.