La grande bellezza di Paolo Sorrentino non è un film semplice, adatto per tutti i gusti, anzi quando lo si vede, occorre concentrazione perché la grande bellezza e la grande verità di questa pellicola risiedono non solo nella magnifica fotografia che riesce a catturare la magia della città di Roma, ma anche nei magnifici dialoghi e monologhi che si intarsiano tra loro, nascondendo svariati messaggi subliminari.
Protagonista
del film è Jep Gambardella (il semplicemente MAGNIFICO Toni Servillo), uno scrittore partenopeo che ha
fatto successo vincendo l'ambito premio Bancarella per un solo libro,
scritto in età giovanile, ovvero "L'apparato umano".
Divenuto poi giornalista e critico teatrale, può essere più
comunemente considerato il re dei mondani, che vive la notte ed esce di
scena alle prime luci dell'alba, potendo così ammirare la
bellezza del giorno che nasce e di tanti piccoli dettagli
nascosti agli occhi della gente comune ancora immersa nel sonno.
Lui è
uno di quelli che conosce tutto e di tutti e che ha i contatti giusti
per qualsiasi cosa, perché conosce le persone e i luoghi
giusti.
Alla festa
di compleanno per i suoi sessantacinque anni, il regista fa una grottesca
carrellata di quali persone egli ami frequentare: cafoni, ignoranti,
ma fondamentalmente falliti che riescono ancora a restare a galla in
un mondo dove si può fare successo senza saper fare nulla di
specifico.
Ci sono una
bella donna che per di mestiere fa semplicemente la ricca e non ha
nulla da dire al mondo (Isabella Ferrari), un drammaturgo che non ha mai sfondato e alla
fine decide di salvarsi ritornando in provincia (un bravissimo Carlo Verdone), un venditore di
giocattoli che di notte ama andare con i transessuali (Carlo Buccirosso), una spogliarellista con
dei misteri (Sabrina Ferilli), una direttrice di giornale che, grazie al suo nanismo,
ha imparato a guardare il mondo dal basso, un cardinale con il
pallino della cucina (Roberto Herlitzka) e ancora molti altri personaggi al limite del
grottesco, ma che sono il ritratto vero di quella parte di società
che sta sprofondando, nascosta nella vacuità dei salotti.
Ecco giusto
un assaggio di chi sono i “veri” amici
di cui Jep ama circondarsi, in particolare agli eventi mondani e alle
cene nel suo appartamento con meravigliosa vista Colosseo.
Lui sa di
essere migliore di tutta quella gente e certamente non lesina affatto
anche i commenti più taglienti, camuffati da una certa ironia
e sarcasmo e vorrebbe liberarsi da questo torpore in cui è
immerso da anni e provare a scrivere un altro libro e salvarsi,
perché lui di cosa ne ha da dire, anche se senza volerlo è
ancora ancorato al suo passato più di quanto immagini (basti vedere il
suo grande amore mai dimenticato).
Dopo This must be the place Sorrentino ha deciso di tornare con un approccio
molto simile (e non si può non notare un forte riferimento a
La dolce vita di Fellini), dove la narrazione è lasciata più
all'alta poeticità delle immagini (che lasciano senza fiato)
che alle parole, spesso in forma di magnifici ed eloquenti monologhi,
che riescono a stupire lasciando una scia di emozioni pure, anche
quando sfiora temi drammatici come la morte.
Credo fortemente che il significato di questo film risieda proprio in alcune semplici ma esaustive parole del protagonista, udibili anche nel finale del trailer ovvero:
“È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l'emozione e la paura, gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza e poi lo squallore disgraziato e l'uomo miserabile.”
Nel film compaiono anche nomi illustri in piccoli cameo o parti secondarie come Fanny Hardant, Iaia Forte, Giorgio Pasotti nell'intrigante figura di Stefano e un giovane ma intenso Luca Marinelli (visto già ne La solitudine dei numeri primi).
Magnifici alcuni brani della colonna sonora quali My heart's in the Highlands e The Beatitudes eseguito da Kronos Quartet.
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