Può un gioco innocente rovinare gli equilibri di una coppia apparentemente stabile o di un’amicizia che dura dai tempi dell’infanzia?
Paolo Genovese con il suo nuovo film Perfetti sconosciuti mette in scena un gioco al massacro che spazzerà via ogni certezza. Un intreccio di storie davvero speciale, che non risente affatto della staticità degli ambienti che ricorda molto il teatro. La pellicola, infatti, si sviluppa prevalentemente intorno a un tavolo e cresce di intensità mano a mano, facendo venire allo scoperto storie e sottostorie dai risvolti infiniti, dove alla fine i migliori si rivelano essere i peggiori in ogni senso.
Un innocente cena fra tre coppie di amici (Marco Giallini, chirurgo plastico di successo, sposato con la psicanalista Kasia Smutniak; Valerio Mastandrea, impiegato infelicemente sposato con Anna Foglietta ed Edoardo Leo, tassista con il pallino del buon affare, novello sposo della veterinaria Alba Rohrwacher) e l’amico single (Giuseppe Battiston) che dovrebbe far finalmente conoscere la sua nuova ragazza, ma che si presenterà da solo.
Per scherzo la padrona di casa (Smutniak) decide che ognuno debba mettere il proprio cellulare sul tavolo e permettere a tutti di entrare nel proprio personale piccolo mondo e, senza alcun filtro, leggere qualsiasi messaggio o chiamata arrivi. Nei tempi moderni il cellulare è ormai diventato il custode di ogni più piccolo segreto… far venire allo scoperto anche un’innocente bugia può scatenare un vero inferno, creando incomprensioni e smascherando falsità.
Un cast davvero perfetto e affiatato che è riuscito a dar vita a una magnifica opera corale, dai ritmi precisi e serrati grazie ai dialoghi pieni di comicità e sarcasmo al punto giusto. Anche se lo schema narrativo non è certamente una novità e già utilizzato per diverse commedie italiane (e straniere come il famoso film francese Cena tra amici), bisogna ammettere che funziona sempre e ancora una volta un semplice momento conviviale può innescare terribili reazioni a catena.
Davvero ottimo il finale, che stupisce ma lascia sicuramente l’amaro in bocca: siamo davvero sicuri di conoscere così bene chi amiamo o chi è nostro amico?
Finalmente un bel film italiano: una tragi-commedia con quel pizzico di cinismo che non guasta per descrivere uno spaccato sociale mai così veritiero ovvero l’importanza che diamo tutti noi ai social e all’uso dello smartphone perdendo la vera possibilità di comunicare e ascoltare chi ci sta accanto.
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sabato 12 marzo 2016
martedì 9 febbraio 2016
Voglia di un dolcetto di Carnevale?
Oggi è l’ultimo giorno di Carnevale e quindi, vista la lunga assenza di una bella ricetta nel blog, non ho resistito nel proporvi un dolcetto abbastanza in tono con questa giornata.
Non è una ricetta tipica dei dolcetti che siamo abituati a mangiare in Italia durante il periodo di carnevale come le frappe… bensì è un dolce tipicamente americano e per la precisione di New Orleans… città famosa per il suo Mardi Gras ma soprattutto per i suoi beignets.
Lo so, l’ho presa davvero alla larga oggi, ma vorrei farvi conoscere un dolce semplice ma buono che mi è stato ispirato da un film davvero carino sulla cucina di strada e lo street food di qualità.
Sto parlando di Chef - La ricetta perfetta, film diretto e interpretato da Jon Favreau che racconta la storia di Carl, uno chef molto bravo ma anche molto suscettibile che non accetta l’idea di aver perso un po’ in audacia.
Dopo aver ricevuto una stroncatura per il suo menù ritenuto poco coraggioso, lo chef reagisce in modo eccessivo e il proprietario decide quindi di licenziarlo.
Dopo un primo momento di sconforto, Carl è pronto a rimettersi in gioco e proprio a bordo di un furgone (o meglio noto come food truck) vuole di nuovo accostarsi alla gente vera e cucinare per loro non piatti dal nome altisonante o dal gusto poco chiaro ma dell’ottimo cibo di strada.
Una commedia davvero genuina (forse un po’ scontata sul finale, ma quello è il tocco di Hollywood che non può mancare) che fa venire l’acquolina in bocca per i molteplici piatti succolenti che vengono preparati durante tutto il film.
L’unica pietanza, però, che Carl non cucina ma che quando arriva a New Orleans fa assaggiare al figlio che lo accompagna durante tutto il suo viaggio sono proprio i beignets: cosa sono? Delle semplici ma piacevolissime frittelle lievitate, dall’impasto molto semplice e ricoperte da una montagna di zucchero a velo!
Continuate a leggere…
Non è una ricetta tipica dei dolcetti che siamo abituati a mangiare in Italia durante il periodo di carnevale come le frappe… bensì è un dolce tipicamente americano e per la precisione di New Orleans… città famosa per il suo Mardi Gras ma soprattutto per i suoi beignets.
Lo so, l’ho presa davvero alla larga oggi, ma vorrei farvi conoscere un dolce semplice ma buono che mi è stato ispirato da un film davvero carino sulla cucina di strada e lo street food di qualità.
Sto parlando di Chef - La ricetta perfetta, film diretto e interpretato da Jon Favreau che racconta la storia di Carl, uno chef molto bravo ma anche molto suscettibile che non accetta l’idea di aver perso un po’ in audacia.
Dopo aver ricevuto una stroncatura per il suo menù ritenuto poco coraggioso, lo chef reagisce in modo eccessivo e il proprietario decide quindi di licenziarlo.
Dopo un primo momento di sconforto, Carl è pronto a rimettersi in gioco e proprio a bordo di un furgone (o meglio noto come food truck) vuole di nuovo accostarsi alla gente vera e cucinare per loro non piatti dal nome altisonante o dal gusto poco chiaro ma dell’ottimo cibo di strada.
Una commedia davvero genuina (forse un po’ scontata sul finale, ma quello è il tocco di Hollywood che non può mancare) che fa venire l’acquolina in bocca per i molteplici piatti succolenti che vengono preparati durante tutto il film.
L’unica pietanza, però, che Carl non cucina ma che quando arriva a New Orleans fa assaggiare al figlio che lo accompagna durante tutto il suo viaggio sono proprio i beignets: cosa sono? Delle semplici ma piacevolissime frittelle lievitate, dall’impasto molto semplice e ricoperte da una montagna di zucchero a velo!
Continuate a leggere…
Ingredienti: 350 g di farina 00, un cucchiaio di zucchero, 1 bustina di lievito di birra secco, 1 uovo, 1 tazza di latte parzialmente scremato, 1 cucchiaino di sale, cannella, olio per friggere e zucchero a velo.
Procedimento:
1) Scaldare leggermente il latte e unirlo al lievito, finchè non si sarà completamente sciolto;
2) Unire all’impasto l’uovo, la farina,lo zucchero,il sale e la cannella (a volontà);
3) Lavorare energicamente in modo da ottenere un impasto ben fermo ma allo stesso tempo un po’ colloso;
4) Coprire con un canovaccio e lasciare lievitare fino a quando non avrà raddoppiato in altezza (N.B. per accelerare i tempi di lievitazione potete preriscaldare il forno e lasciare l’impasto sempre coperto al suo interno)
5) Stendere l’impasto con l’aiuto di un mattarello e ottenere una sfoglia spessa circa mezzo centimetro;
6) Tagliare a quadrotti di medie dimensioni (circa 4x4)e lasciare nuovamente lievitare per almeno mezzora;
7) Scaldare l’olio in una pentola capace e friggere i quadrotti di pasta su ogni lato;
8) Appena diventano dorati, scolare e lasciare asciugare su della carta assorbente;
9) Cospargere i beignets con abbondante zucchero a velo e servire tiepidi.
P.s. nella foto ho provato anche a fare i beignet con lo zucchero semolato…a voi la scelta?!
1) Scaldare leggermente il latte e unirlo al lievito, finchè non si sarà completamente sciolto;
2) Unire all’impasto l’uovo, la farina,lo zucchero,il sale e la cannella (a volontà);
3) Lavorare energicamente in modo da ottenere un impasto ben fermo ma allo stesso tempo un po’ colloso;
4) Coprire con un canovaccio e lasciare lievitare fino a quando non avrà raddoppiato in altezza (N.B. per accelerare i tempi di lievitazione potete preriscaldare il forno e lasciare l’impasto sempre coperto al suo interno)
5) Stendere l’impasto con l’aiuto di un mattarello e ottenere una sfoglia spessa circa mezzo centimetro;
6) Tagliare a quadrotti di medie dimensioni (circa 4x4)e lasciare nuovamente lievitare per almeno mezzora;
7) Scaldare l’olio in una pentola capace e friggere i quadrotti di pasta su ogni lato;
8) Appena diventano dorati, scolare e lasciare asciugare su della carta assorbente;
9) Cospargere i beignets con abbondante zucchero a velo e servire tiepidi.
P.s. nella foto ho provato anche a fare i beignet con lo zucchero semolato…a voi la scelta?!
domenica 15 novembre 2015
Rock the Kasbah non convince
Rock the Kasbah è l’ultimo film diretto dal regista Barry Levinson (lontano anni luce da quando vinse il premio Oscar per Rain Man o dirigeva film davvero buoni come Good mornign, Vietnam!, Rivelazioni, Sleepers o Bandits) che vede come protagonista assoluto Bill Murray in compagni di altri grandi interpreti come Bruce Willis, Kate Hudson
e Zooey Deshanel.
Richie Lanz (Murray) è un assurdo manager
musicale, un po’ mascalzone ma decisamente adorabile, convinto di poter far
sfondare la sua unica cantante, Ronnie (Deshanel), con una serie di concerti
per le truppe americane stanziate in Afghanistan.
Considerato il disperato scenario di
guerra in cui è stata trascinata, la sua cantante (nemmeno così dotata vocalmente come lui vorrebbe far credere) lo abbandona su due piedi e se ne ritorna immediatamente in America. Richie, senza soldi e documenti, dovrà ideare qualche stratagemma per uscire dal paese. Ecco però che il destino gli fa
incontrare per caso Salima, una bellissima ragazza di etnia pashtun dotata di una voce straordinaria.
Decide di farla partecipare allo show Afghan
Star, nonostante ciò significhi sfidare la sua cultura e la sua famiglia,
dato che alle ragazze del villaggio sia proibito cantare (un reato punibile con
la morte).
Il film, infatti, si ispira al reale
fatto di cronaca che vede protagonista la giovane Latifa Azizi, che nel 2013, prendendo parte a un programma musicale, vince il primo premio
grazie alla sua voce, a costo della sua libertà e della sua vita.
Bill Murray non delude certamente ma
ne esce poco valorizzato visto che il film ristagna tutto il tempo e non sembra
mai decollare: Levinson ha messo troppa carne al fuoco senza sfruttare al
meglio gli strumenti a sua disposizione. La comicità del protagonista non
sembra amalgamarsi alla perfezione con gli scenari e i contesti più drammatici di
quei territori dilaniati dalle guerre e dalle lotte interne, raccontati in modo
velato o forse troppo sommario nel film.
La storia di per sé sarebbe stata
anche interessante ma di certo la sceneggiatura, alquanto confusa e con un finale
lasciato a metà, non ha saputo renderla al meglio: troppi personaggi lasciano
lo schermo senza una vera uscita di scena e i pochi che restano non sono
descritti a tutto tondo come dovutamente richiesto da un attento spettatore (per
esempio il mercenario dal cuore tenero interpretato da un Bruce Willis non al
meglio delle sue possibilità e la prostituta della seducente Kate Hudson).
P.s.: Una curiosità riguardo al titolo che si riferisce all'omonima canzone dei Clash, ma che in realtà non compare nemmeno all'interno della (bellissima) colonna sonora del film.
sabato 19 settembre 2015
La musica di Ricki
Il regista americano Jonathan Demme torna sul grande schermo con Dove eravamo rimasti (titolo originale Ricki and The Flash), un film di grande effetto musicale.
La musica, però, si accompagna ai problemi di una famiglia allargata provata da screzi e dissapori legati al passato di una madre che non ha visto crescere i suoi figli. Una storia già sentita? Forse sì.
Linda Brummel, nome d’arte Ricki Rendazzo (Meryl Streep), è una donna ormai sul viale del tramonto, che ha rincorso il sogno di diventare una rock star, anteponendolo alla famiglia e all'amore dei suoi tre figli e ora, anche se senza un soldo e insoddisfatta del lavoro che fa di giorno in un supermercato, è appagata cantando e suonando la musica che adora con la sua band The Flash sempre nello stesso piccolo bar.
È costretta a un tuffo nel passato, quando il suo ex Pete (Kevin Kline) la chiama in aiuto della figlia Julie (Mamie Gummer, vera figlia della Streep nella realtà) che sta affrontando la rottura del suo matrimonio a causa del tradimento di suo marito.
Il ritorno nel paesino borghese in Indiana, la lussuosa villa del suo ex che si è risposato felicemente da anni e l’astio dei suoi figli fanno emergere lentamente dei forti sensi di colpa.
La sua assenza ha portato tutti a escluderla completamente da ogni loro momento importante come anche l’imminente matrimonio del figlio Josh, che ha tenuto nascosto persino il fidanzamento per evitare di doverla invitare.
Il film è centrato sul ritratto di una donna un po’ grezza ma coerente, fiera di essere repubblicana e di aver vissuto nel segno del rock and roll, unico suo vero credo e che, riuscita ad accettare gli errori che ha commesso, tenta di rimediarvi come meglio sa fare attraverso la musica.
Ricalcando per molti versi i temi in parte affrontati in Rachel sta per sposarsi, Demme manifesta comunque tutto il suo amore per la musica attraverso un uso attento della macchina da presa. Purtroppo il tentativo di ricordare i toni di una sana commedia americana si perde in diversi momenti decisamente troppo eccessivi oppure del tutto scontati. La sceneggiatrice Diablo Cody, infatti, sembra non avere più il tocco graffiante di Juno e finisce per deludere con dialoghi poco brillanti e banali stereotipi già visti e stravisti in numerosi film hollywoodiani.
Uniche note positive la stupenda colonna sonora e la bravura della Streep che, dopo aver regalato una grandissima performance canora sia in Mamma Mia! che Into the woods (anche se già la si era vista cantare del country magnificamente sia nel finale di Cartoline dall’inferno che in Radio America), stupisce ancora una volta e non delude affatto con la sua voce da splendida sessantenne.
La musica, però, si accompagna ai problemi di una famiglia allargata provata da screzi e dissapori legati al passato di una madre che non ha visto crescere i suoi figli. Una storia già sentita? Forse sì.
Linda Brummel, nome d’arte Ricki Rendazzo (Meryl Streep), è una donna ormai sul viale del tramonto, che ha rincorso il sogno di diventare una rock star, anteponendolo alla famiglia e all'amore dei suoi tre figli e ora, anche se senza un soldo e insoddisfatta del lavoro che fa di giorno in un supermercato, è appagata cantando e suonando la musica che adora con la sua band The Flash sempre nello stesso piccolo bar.
È costretta a un tuffo nel passato, quando il suo ex Pete (Kevin Kline) la chiama in aiuto della figlia Julie (Mamie Gummer, vera figlia della Streep nella realtà) che sta affrontando la rottura del suo matrimonio a causa del tradimento di suo marito.
Il ritorno nel paesino borghese in Indiana, la lussuosa villa del suo ex che si è risposato felicemente da anni e l’astio dei suoi figli fanno emergere lentamente dei forti sensi di colpa.
La sua assenza ha portato tutti a escluderla completamente da ogni loro momento importante come anche l’imminente matrimonio del figlio Josh, che ha tenuto nascosto persino il fidanzamento per evitare di doverla invitare.
Il film è centrato sul ritratto di una donna un po’ grezza ma coerente, fiera di essere repubblicana e di aver vissuto nel segno del rock and roll, unico suo vero credo e che, riuscita ad accettare gli errori che ha commesso, tenta di rimediarvi come meglio sa fare attraverso la musica.
Ricalcando per molti versi i temi in parte affrontati in Rachel sta per sposarsi, Demme manifesta comunque tutto il suo amore per la musica attraverso un uso attento della macchina da presa. Purtroppo il tentativo di ricordare i toni di una sana commedia americana si perde in diversi momenti decisamente troppo eccessivi oppure del tutto scontati. La sceneggiatrice Diablo Cody, infatti, sembra non avere più il tocco graffiante di Juno e finisce per deludere con dialoghi poco brillanti e banali stereotipi già visti e stravisti in numerosi film hollywoodiani.
Uniche note positive la stupenda colonna sonora e la bravura della Streep che, dopo aver regalato una grandissima performance canora sia in Mamma Mia! che Into the woods (anche se già la si era vista cantare del country magnificamente sia nel finale di Cartoline dall’inferno che in Radio America), stupisce ancora una volta e non delude affatto con la sua voce da splendida sessantenne.
venerdì 26 giugno 2015
Le barriere non sono sempre ostacoli
Grazie a La Famiglia Belier del regista Eric Lartigau con Karin Viard, François Damiens, uno spassoso Eric Elmosnino e la giovanissima ma talentuosa Louane Emera (scoperta grazie al talent show The Voice), la Francia conferma di saper “sfornare” degli ottimi prodotti all’insegna della semplicità e della leggerezza. Il film ruota appunto attorno alla storia dei Belier, che gestiscono una fattoria e vendono formaggio fresco, ma dove tutti i componenti, tranne la figlia Paula, sono sordomuti e un po’ stravaganti. La sua normalità, però, viene vista dai suoi stessi genitori come un handicap, anche se per loro il suo ruolo è indispensabile nella vita di tutti i giorni per riuscire a comunicare con il resto del mondo (davvero divertente la scena della visita dal dottore).
Paula ha sempre tenuto in gabbia la sua voce e solo per caso, iscrivendosi alle lezioni di coro, incontrerà il professore di musica Fabien Thomasson (Elmosnino) che le farà capire quanto invece sia straordinaria e potrà così spiccare il volo, partecipando a un provino per andare a studiare canto a Parigi.
Ecco però che i problemi comuni a tutti gli adolescenti della stessa età di Paula (come il proprio
corpo che cambia, i primi amori o l’indecisione verso il proprio futuro) si mischiano ai numerosi dubbi legati a quella scelta così importante ovvero crescere lontana dalla sua famiglia per seguire un sogno. Quello stesso sogno che i suoi genitori non sembrano condividere, perché significherebbe anche accettare di allontanarsi da lei e vederla diventare adulta, ma soprattutto non riuscire mai a poter gioire pienamente di quel suo talento perché lontano dal loro “mondo”.
Uno dei momenti più toccanti (a stento si trattengono le lacrime) è la performance all’audizione con la canzone "Je Vole" del cantante neomelodico francese Michel Sardou, quando Paula traduce nella lingua dei segni le potenti parole di una canzone che sembra scritta appositamente per lei. Le sue mani fanno volare nell’aria le parole che danzano insieme a quella musica che i suoi genitori e suo fratello non possono udire ma che grazie ai gesti riescono a prendere vita.
L’unico vero attore sordo nel film è Luca Gelberg (il giovane fratello di Paula), ma il resto degli attori ha dovuto lavorare sodo e allenarsi per poter girare un film interamente con la lingua dei segni. Anche volendo non si avverte affatto quel senso di diversità che ci si potrebbe aspettare, perché la disabilità viene trattata alla pari, semplicemente come dovrebbero fare tutti.
I dialoghi sono frizzanti, emozionanti al punto giusto e divertenti: si incastrano in modo spettacolare grazie a dei tempi comici perfetti coadiuvati dalla mimica facciale pazzesca di tutto il cast.
La Famiglia Belier è una commedia delicata e brillante allo stesso tempo, che scorre benissimo e lascia lo spettatore carico di emozioni, dimostrando che le barriere e gli handicap non possono fermare nessuno se si ama la vita e che la potenza del linguaggio dell’amore è universale e non ha ostacoli.
Paula ha sempre tenuto in gabbia la sua voce e solo per caso, iscrivendosi alle lezioni di coro, incontrerà il professore di musica Fabien Thomasson (Elmosnino) che le farà capire quanto invece sia straordinaria e potrà così spiccare il volo, partecipando a un provino per andare a studiare canto a Parigi.
Ecco però che i problemi comuni a tutti gli adolescenti della stessa età di Paula (come il proprio
corpo che cambia, i primi amori o l’indecisione verso il proprio futuro) si mischiano ai numerosi dubbi legati a quella scelta così importante ovvero crescere lontana dalla sua famiglia per seguire un sogno. Quello stesso sogno che i suoi genitori non sembrano condividere, perché significherebbe anche accettare di allontanarsi da lei e vederla diventare adulta, ma soprattutto non riuscire mai a poter gioire pienamente di quel suo talento perché lontano dal loro “mondo”.
Uno dei momenti più toccanti (a stento si trattengono le lacrime) è la performance all’audizione con la canzone "Je Vole" del cantante neomelodico francese Michel Sardou, quando Paula traduce nella lingua dei segni le potenti parole di una canzone che sembra scritta appositamente per lei. Le sue mani fanno volare nell’aria le parole che danzano insieme a quella musica che i suoi genitori e suo fratello non possono udire ma che grazie ai gesti riescono a prendere vita.
L’unico vero attore sordo nel film è Luca Gelberg (il giovane fratello di Paula), ma il resto degli attori ha dovuto lavorare sodo e allenarsi per poter girare un film interamente con la lingua dei segni. Anche volendo non si avverte affatto quel senso di diversità che ci si potrebbe aspettare, perché la disabilità viene trattata alla pari, semplicemente come dovrebbero fare tutti.
I dialoghi sono frizzanti, emozionanti al punto giusto e divertenti: si incastrano in modo spettacolare grazie a dei tempi comici perfetti coadiuvati dalla mimica facciale pazzesca di tutto il cast.
La Famiglia Belier è una commedia delicata e brillante allo stesso tempo, che scorre benissimo e lascia lo spettatore carico di emozioni, dimostrando che le barriere e gli handicap non possono fermare nessuno se si ama la vita e che la potenza del linguaggio dell’amore è universale e non ha ostacoli.
mercoledì 3 giugno 2015
Se Dio vuole… fa ridere di gusto
Se ridere fa bene alla salute, il regista e sceneggiatore Edoardo Falcone è riuscito nell’impresa. Il suo ultimo film Se Dio vuole è una commedia semplice ma ben scritta e molto ben interpretata da un cast eccezionale: Marco Giallini, Alessandro Gassman, Laura Morante, Ilaria Spada, Edoardo Pesce ed Enrico Oetiker.
Tommaso (Giallini), uomo ateo e liberale nelle sue convinzioni nonché cinico e spietato cardiochirurgo, non riesce come padre di famiglia ad accettare che suo figlio Andrea (Oetiker) voglia abbandonare la facoltà di medicina per diventare prete.
Fingendo di dargli il suo pieno appoggio insieme alla moglie/casalinga disperata (Morante) e la figlia svampita Bianca (Spada), in realtà è deciso a fargli cambiare idea. Tenta quindi di scoprire gli scheletri nell’armadio di Don Pietro (Gassman), il sacerdote dal passato deprecabile che sta guidando suo figlio verso questo cammino o come crede lui che gli abbia fatto il lavaggio del cervello. Aiutato da Gianni, il genero pusillanime (un bravissimo Edoardo Pesce) e da uno strambo detective, tenterà di avvicinare il prete, fingendosi disoccupato e con molti problemi familiari. Peccato che il suo tentativo andrà fallito e scoprirà suo malgrado che questo sacerdote è davvero simpatico e ci sa fare con i giovani proprio grazie alla sua semplicità e a quel tocco di modernità che non guasta per svecchiare l’immagine della Chiesa odierna.
Giallini e Gassman superano se stessi, regalando due interpretazioni davvero divertenti e mai sopra le righe e sostenendo un ritmo serrato di battute e pause quasi teatrali.
Un buon prodotto del cinema italiano contemporaneo, che offre un’analisi leggera del complicato rapporto tra scienza/ragione e fede, ma che riesce a farlo con grande leggerezza, intrattenendo con gusto. Forse leggermente stucchevole nel finale, ma ci sta, perché è bene comunque far capire che non bisogna per forza credere in Dio per capire che esista un’entità superiore a ciascuno di noi o per imparare ad aiutare chi ci sta vicino o chi ne ha bisogno.
Tommaso (Giallini), uomo ateo e liberale nelle sue convinzioni nonché cinico e spietato cardiochirurgo, non riesce come padre di famiglia ad accettare che suo figlio Andrea (Oetiker) voglia abbandonare la facoltà di medicina per diventare prete.
Fingendo di dargli il suo pieno appoggio insieme alla moglie/casalinga disperata (Morante) e la figlia svampita Bianca (Spada), in realtà è deciso a fargli cambiare idea. Tenta quindi di scoprire gli scheletri nell’armadio di Don Pietro (Gassman), il sacerdote dal passato deprecabile che sta guidando suo figlio verso questo cammino o come crede lui che gli abbia fatto il lavaggio del cervello. Aiutato da Gianni, il genero pusillanime (un bravissimo Edoardo Pesce) e da uno strambo detective, tenterà di avvicinare il prete, fingendosi disoccupato e con molti problemi familiari. Peccato che il suo tentativo andrà fallito e scoprirà suo malgrado che questo sacerdote è davvero simpatico e ci sa fare con i giovani proprio grazie alla sua semplicità e a quel tocco di modernità che non guasta per svecchiare l’immagine della Chiesa odierna.
Giallini e Gassman superano se stessi, regalando due interpretazioni davvero divertenti e mai sopra le righe e sostenendo un ritmo serrato di battute e pause quasi teatrali.
Un buon prodotto del cinema italiano contemporaneo, che offre un’analisi leggera del complicato rapporto tra scienza/ragione e fede, ma che riesce a farlo con grande leggerezza, intrattenendo con gusto. Forse leggermente stucchevole nel finale, ma ci sta, perché è bene comunque far capire che non bisogna per forza credere in Dio per capire che esista un’entità superiore a ciascuno di noi o per imparare ad aiutare chi ci sta vicino o chi ne ha bisogno.
martedì 19 maggio 2015
Samba e la sua vita
I registi Eric Toledano e Olivier Nakache e il protagonista Omar Sy del fortunato Quasi Amici tornano di nuovo insieme in Samba per raccontare con grande ironia il problema degli immigrati irregolari in Francia, i quali compongono lo zoccolo duro di una società nascosta e rilegata a svolgere i mestieri più duri o meno desiderati.
Samba Cissé (Sy) è un giovane senegalese, clandestino in Francia da dieci anni, che, arrangiandosi con i lavori più disparati, tenta da sempre di ottenere il permesso di soggiorno, cercando nel frattempo di guadagnarsi da vivere per mantenere anche la sua famiglia in Africa e trovare finalmente il suo posto nel mondo.
Tutto cambierà dopo il suo fortunato incontro con Alice (un’algida e impacciata Charlotte Gainsbourg), una dirigente di un’azienda in congedo dal lavoro dopo aver avuto un brutto esaurimento, che ora tenta di ristabilire un contatto sociale facendo la volontaria in un centro di aiuto per immigrati.
La donna non riesce a mantenere le distanze e si innamora lentamente di Samba, un uomo così lontano dal suo mondo ma così vicino al suo cuore e capace di farla sorridere dopo tanto tempo.
Ricevuta la carta di via e, teoricamente costretto ad abbandonare il suolo francese, Samba deve stare ancora più attento a non farsi scoprire… forse il finale è un po’ scontato, ma completamente in linea con la storia.
Tratto dal romanzo Samba pour la France di Delphine Coulin, la pellicola è in grado di portare sul grande schermo una tematica sociale importante e tangibile come l’immigrazione usando un tono leggero. Una commedia sociale (per nulla politica) ben girata, ma soprattutto ben scritta e ben recitata (anche dai personaggi di contorno), perché riesce con il giusto pizzico di ironia a regalare delle grasse risate anche nei momenti più tristi.
P.s.: Una delle battute più belle del film viene pronunciata da Alice, quando, confortando Samba, preoccupato di dover nascondersi usando in continuazione documenti falsi per restare in Francia, gli dice: “Se hai paura di non ricordare più il tuo vero nome, gridalo al vento come se avessi voglia di danzare!”.
mercoledì 1 aprile 2015
Torta pere e cioccolato di Nonna Anna
Avevo già parlato del film di Gabriele Salvatores, Happy Family, (di cui amo alla follia quasi tutti i personaggi, anche se Fabio De Luigi e Diego Abatantuono sono i più strepitosi), per via della buonissima ricetta dei tagliolini gamberi e funghi. Un piatto che, durante una simpatica cena di famiglia o quasi, la svampita nonna Anna continua a riproporre a causa della demenza senile, scaturendo però un sacco di risate.
Grazie specialmente al personaggio della nonna che ha il pallino della cucina, nel film ci sono moltissimi riferimenti a piatti o ricette da provare che mi hanno incuriosito... ecco perché questa volta ho pensato di cimentarmi come lei in un dolce o meglio in un classico della pasticceria: la torta pere e cioccolato (N.B.: non posso svelarvi come al mio solito quando compare il riferimento a questo piatto, altrimenti vi sciuperai il finale).
Ammetto che era la prima volta che sperimentavo questa ricetta, ma sono rimasta piacevolmente colpita dalla sua semplice bontà.
Ingredienti: 200 g farina 0, 100 g zucchero semolato, 180 g cioccolato fondente al 70 %, 150 g di burro, 4 uova, rum, 1 bustina di lievito e 3 pere williams
Procedimento:
1) Sbucciare le pere e, dopo averle tagliate a fettine, metterle in un tegame e lasciarle cuocere per almeno 20 minuti con un goccio d’acqua e un po' di rum;
2) Tritate grossolanamente il cioccolato fondente e farlo sciogliere a bagnomaria;
3) Montare a neve gli albumi e metterli da parte;
4) Nel frattempo mescolare i tuorli d'uovo con lo zucchero, la farina, il lievito e il burro sciolto precedentemente;
5) Dopodiché aggiungere il cioccolato sciolto, incorporando anche gli albumi e facendo attenzione a non smontarli;
6) Versare metà del composto ottenuto in una tortiera imburrata e infarinata del diametro di 18 cm;
7) Distribuire sull’intera superficie le pere cotte e ricoprire con il resto dell’impasto;
8) Mettere in forno preriscaldato a 180° per almeno 35-40 minuti.
P.s.: Dopo averla lasciata raffreddare, potete anche spolverizzare la torta con lo zucchero a velo (oppure ricoprirla con il cioccolato fondente fuso).
giovedì 26 febbraio 2015
Birdman o L'Imprevedibile Virtù dell'Ignoranza
L'ultimo capolavoro del regista Alejandro González Iñárritu con Michael Keaton, Emma Stone, Edward Norton, Naomi Watts, Zach Galifianakis, Andrea Riseborough e Lindsay Duncan non è un film semplice da raccontare, ma allo stesso tempo è un piacere da guardare.
Anche se il finale è un po’ troppo esagerato, lasciando appese molte aspettative degli spettatori, è un film brillante, divertente, profondo e visionario, sapientemente girato e interpretato da attori bravi in modo stupefacente. Lo dimostra in parte anche l’incetta di premi vinti ai vari festival del cinema che si sono susseguiti e terminati con la presa di ben 4 Oscar per miglior film, regia, fotografia e sceneggiatura originale, che hanno consacrato Iñárritu tra i migliori nell’Olimpo hollywoodiano… nel caso non lo avesse già ben dimostrato con 21 grammi o Babel.
La pellicola narra di Riggan Thompson (Keaton), una star in declino, conosciuto al grande pubblico per il successo ottenuto interpretando i panni di un supereroe alato di nome Birdman, che vuol tentare di tornare alla ribalta proponendo a Broadway l'adattamento di un classico come “Di cosa parliamo quando parliamo d'amore” di Raymond Carver. Lo fa soprattutto perché crede ancora nella propria arte e sa di poter dimostrare di essere ancora bravo a recitare, scrollandosi di dosso la pesante veste da attore di blockbuster.
Rimasto ormai senza soldi, investiti tutti in questa sua impresa teatrale, è insoddisfatto di uno degli attori, che (per un “incidentale” colpo di fortuna), a pochi giorni dal debutto ufficiale viene sostituto da Mike Shiner (uno S-T-R-A-B-I-L-I-A-N-T-E Norton),
il marito di una delle attrici della compagnia nonché uno dei migliori sulla piazza al momento anche se offuscato da un ego enorme, che riesce ad essere se stesso solo quanto veste i panni di qualcun’altro.
il marito di una delle attrici della compagnia nonché uno dei migliori sulla piazza al momento anche se offuscato da un ego enorme, che riesce ad essere se stesso solo quanto veste i panni di qualcun’altro.
Lo spettacolo sembra comunque prendere il via nonostante qualche impiccio dovuto all’inspiegabile improvvisazione portato sul palco dal co-protagonista e da imprevisti legali, sbrogliati con perizia dall'amico e produttore Jake (Galifianakis).
La cosa che stupisce di più è come lo spettatore non riesca completamente a distinguere le fantasie partorite dalla mente di Riggan perché perfettamente amalgamate alla storia e coadiuvate dalla voce del suo alter ego alato che lo perseguita continuamente suggerendogli di abbandonare tutto e ritornare a girare filmetti di serie B dal compenso assicurato.
Il film comunque non ruota tutto intorno al protagonista principale, ma riesce a dare spazio anche agli attori di contorno come Laura (Riseborough), l’amante di Riggan un po’ stralunata e insoddisfatta, Lesley (Watts), attrice piena di speranze e fiduciosa di sfondare o la spietata critica teatrale del Times (Duncan) pronta a tutto pur di stroncare lo spettacolo e alla figura controversa di Sam (Stone)
, la figlia ribelle di Riggan, che, appena uscita dal centro di disintossicazione, sembra l’unica ad avere i piedi per terra in quel mondo di falsità e cinismo, fatto solo di prime donne e critici teatrali.
, la figlia ribelle di Riggan, che, appena uscita dal centro di disintossicazione, sembra l’unica ad avere i piedi per terra in quel mondo di falsità e cinismo, fatto solo di prime donne e critici teatrali.
Iñárritu ha regalato un vero esempio di metateatro che può senza alcun dubbio definirsi un’opera d’arte, dandone prova con una grande tecnica usando la cinepresa in un modo incredibile. Non ci sono stacchi improvvisi o cambi di scena dovuti a tagli nel montaggio e si assiste a un flusso continuo di dialoghi in piani sequenza interminabili che hanno tutti luogo all’interno dei vari meandri e il palcoscenico del magnifico St. James Theatre (a parte la magnifica scena di Riggan in mutande che attraversa un’affollata Times Square). Davvero ottimo anche l'utilizzo della musica che scandisce continuamente il ritmo delle scene e addirittura la cadenza dei titoli iniziali e finali.
I temi principali sono certamente la megalomania e la vulnerabilità degli artisti, l'incapacità di essere giudicati e l’importanza che nell’attuale società contemporanea, come dimostrato dall’ascesa dei social network, si dà sempre più importanza all’apparire piuttosto che all’essere: è più semplice ma non così coraggioso rifugiarsi nella propria fantasia pur di fuggire dalla triste realtà di una società sempre più meschina e mediocre, dove i rapporti interpersonali si annientano seguendo l’andamento delle masse?!
P.s.: Il sottotitolo di Birdman ovvero L'Imprevedibile Virtù dell'Ignoranza è in realtà il titolo della recensione della cattivissima critica teatrale, letta al termine del film che consacra ogni aspetto della pièce teatrale portata in scena da Riggan e il resto della compagnia.
venerdì 23 gennaio 2015
Storie davvero... pazzesche!!!
Assolutamente da non perdere il film argentino (candidato anche come miglior film straniero agli Oscar 2015) Storie pazzesche (titolo originale Relatos salvajes) del regista Damián Szifrón (cineasta semi-sconosciuto in Europa, ma molto apprezzato anche come autore in patria) con Ricardo Darín, Oscar Martínez, Leonardo Sbaraglia, Maria Marull e Darío Grandinetti.
La pellicola si compone di 6 episodi, ognuno con una propria storia (semi-)realistica, che spesso tocca alti livelli di violenza un po’ pulp, accomunati però dallo stesso fenomenale humour nero. A causa di un caos sia interiore che sociale, ogni personaggio si trasforma e scatena il proprio lato oscuro, in modo più o meno eclatante. Non sempre, infatti, l’evoluzione delle varie storie riesce a raggiungere il climax di emozioni in egual misura, ma non per questo si può penalizzare una sceneggiatura dal taglio realmente ottimo.
Davvero esilarante la storia in apertura, dove il sentimento di vendetta è il vero protagonista che si aggira all’interno di un volo, dove riecheggia sulla bocca di tutti i (malcapitati) passeggeri il nome di Gabriel Pasternak.
In una tavola calda sperduta una cameriera si ritrova per caso a servire l’usuraio che ha rovinato la sua famiglia, portando il padre disperato al suicidio.
Davvero esilarante la storia in apertura, dove il sentimento di vendetta è il vero protagonista che si aggira all’interno di un volo, dove riecheggia sulla bocca di tutti i (malcapitati) passeggeri il nome di Gabriel Pasternak.
In una tavola calda sperduta una cameriera si ritrova per caso a servire l’usuraio che ha rovinato la sua famiglia, portando il padre disperato al suicidio.
A causa di un sorpasso e di una gomma a terra una lite tra due guidatori sfocia in un lento e sanguinoso gioco al massacro.
Un ingegnere esperto in detonazioni saprà come vendicarsi di tutte le multe subite “ingiustamente”, diventando un acclamato eroe popolare.
Forse il più carente di risate ma quello dal lato più dark di tutti, l’episodio in cui si assiste alle conseguenze di un incidente provocato da un giovane pirata della strada e per rimediare si ricorre al Dio denaro… ma si scopre tristemente che ognuno ha il suo prezzo.
Forse il più carente di risate ma quello dal lato più dark di tutti, l’episodio in cui si assiste alle conseguenze di un incidente provocato da un giovane pirata della strada e per rimediare si ricorre al Dio denaro… ma si scopre tristemente che ognuno ha il suo prezzo.
Un po’ kitsch, senza dubbio, la storia in chiusura che vede l’escalation di emozioni, baruffe e ricatti scaturite dall’infedeltà dello sposo scoperta proprio nel giorno delle nozze.
Una commedia dalle sfumature un po’ dark ben riuscita, che riesce a far sorridere lasciando allo stesso tempo l’amaro in bocca. Una carrellata di personaggi più o meno mostruosi che trasudano cattiveria in contesti legati alla quotidianità di chiunque.
Non tutti gli episodi garantiscono lo stesso livello di comicità, ma va dato atto alla bravura e all’espressività degli attori (ahimè quasi sconosciuti in Italia) e all’ottima regia dai toni incalzanti.
Una commedia dalle sfumature un po’ dark ben riuscita, che riesce a far sorridere lasciando allo stesso tempo l’amaro in bocca. Una carrellata di personaggi più o meno mostruosi che trasudano cattiveria in contesti legati alla quotidianità di chiunque.
Non tutti gli episodi garantiscono lo stesso livello di comicità, ma va dato atto alla bravura e all’espressività degli attori (ahimè quasi sconosciuti in Italia) e all’ottima regia dai toni incalzanti.
P.s.: Secondo il mio modesto parere sembra insensato che nei cartelloni o nel trailer debba comparire a caratteri cubitali il nome di Pedro Almodovar (uno dei produttori del film) solo per dar maggior richiamo a una pellicola più che meritevole. La qualità da sola non paga più ormai!
martedì 29 luglio 2014
Mai provati gli scones?
Chi l'avrebbe mai detto che, guardando la versione in lingua originale di un film come C'è posta per te (1998, titolo originale You've got mail), che conosco quasi a memoria, avrei potuto fare una scoperta così sensazionale?!
Giusto due parole per il film...
Diretto dalla compianta Nora Ephron, la storia è incentrata su una dolce e carina libraia, Kathleen Kelly (Meg Ryan), che sta per chiudere la sua attività di famiglia a causa dell'inaugurazione della megalibreria del ricco Joe Fox (Tom Hanks). A causa di un contrasto negli affari i due si odiano atrocemente, anche se non sanno di conoscersi già in rete, dove sono invece grandi amici, senza essersi mai visti di persona.
Una commedia semplice e carina (remake del film in bianco e nero Scrivimi fermo posta di Ernst Lubitsch), che, regalando una colonna sonora indimenticabile e degli scorci magnifici di New York, è costellata da personaggi secondari molto divertenti tra cui spicca quello di George (Greg Kinnear), il fidanzato di Kathleen.
Come in una scena del film, in cui Kathleen si incontra con due delle sue commesse e annuncia di dover chiudere il negozio, durante il famoso momento del tè del pomeriggio vengono serviti in accompagnamento numerosi bocconcini sia salati che dolci. Tra questi non possono certo mancare gli scones, ovvero delle morbide focaccine di forma tonda di origine scozzese, che possono essere farcite con ingredienti di ogni tipo vista la loro neutralità di sapore (dalla marmellata a salumi e formaggi).
Gli scones sono velocissimi da preparare e altrettanto da cucinare e sono ottimi non solo per il classico momento del tè inglese, ma anche per piccoli buffet o feste di compleanno.
Ingredienti (per 4 persone): 260 g farina 00, 25 g burro, 1 cucchiaio di olio extra vergine d’oliva, 150 ml latte parzialmente scremato, un pizzico di sale, 5 g zucchero, 1 bustina di lievito Pane Angeli e 1 uovo
Procedimento:
1) Disporre la farina a mo’ di fontana, aggiungendo al centro il sale, lo zucchero, il lievito e poi anche il burro a temperatura ambiente insieme a un filo d’olio;
2) Unire piano piano anche il latte e cercare di impastare bene tutta la farina, fino a ottenere un composto liscio, che, avvolto con della pellicola trasparente, andrà fatto riposare in frigorifero per almeno mezzora;
3) Dopodiché procedere a stendere l’impasto, ottenendo una sfoglia alta almeno 1 cm circa;
4) Con un coppapasta o più semplicemente un bicchiere di medie dimensioni ricavare dei dischetti, che andranno riposti su una teglia con carta da forno;
5) Spennellare leggermente la superficie con un uovo sbattuto;
6) Cuocere a 200° in forno già caldo per 15-20 minuti, finché la superficie non sarà ben dorata;
7) Sfornare gli scones e servire appena tiepidi con una scelta di marmellate e composte oppure anche con un tagliere di salumi caserecci.
giovedì 22 maggio 2014
Crescete e moltiplicatevi!
Molti di voi si chiederanno chi sia Vinko Bresan, eppure questo regista croato è molto conosciuto in patria grazie all’enorme successo riscosso anche col suo ultimo film Padre vostro (ovvero The Priest’s children, anche se i bambini nel titolo inglese non vanno visti unicamente nell’ottica negativa della pedofilia).
Una commedia genuina senza troppe pretese che, attraverso un tono leggero e a tratti satirico, descrive in un modo in apparenza semplicistico questioni e problemi di un certo spessore sociale.
Non viene criticato solo il marcio dietro la Chiesa ma anche molti aspetti culturali e storici che il popolo croato non si è ancora scrollato di dosso dopo i tanti anni già trascorsi dalla fine della guerra.
La sceneggiatura del film ricalca la pièce teatrale dell’amico del regista, Mate Matišic, il cui protagonista è Don Fabijan (Krešimir Mikic), un giovane petrino malcapitato, che, giunto nel piccolo villaggio di un’isola della Dalmazia, non è ben stimato al pari di don Jacov (Zdenko Botic) che vive lì da tanti anni. Riconosce di non avere peculiari qualità, ma tenta in tutti i modi di farsi piacere e di risolvere una situazione a dir poco delicata.
Nonostante sia risaputa da tempo la lotta agli anticoncezionali da parte della Chiesa, padre Fabijan viene messo davanti alla dura verità ovvero che sono proprio questi strumenti di prevenzione dalla trasmissione di malattie sessuali a impedire di far crescere il numero delle nascite.
Il problema viene portato alla sua attenzione durante una singolare confessione di un suo parrocchiano, l’edicolante Petar (Nikša Butijer), accusato dalla moglie di uccidere migliaia di possibili bambini vendendo profilattici agli abitanti dell’isola e agli stranieri d’estate.
Ecco allora che don Fabijan architetta un piano “diabolico”: basterà bucare tutti i preservativi in vendita in modo da eliminare alla radice il problema della drastica diminuzione delle nascite rispetto al crescente numero di morti sull’isola. Al lavoro del prete e dell’amico edicolante si aggiunge poi anche quello del farmacista (razzista e anti-serbo), che rincarerà la dose, vendendo alle sue clienti semplici vitamine al posto della comune pillola anticoncezionale.
Improvvisamente le gravidanze indesiderate crescono a tal punto che la notizia fa il giro del mondo e incomincia ad attirare numerosi turisti sull’isola perché tutti credono che l’aria del posto e l’acqua del mare Adriatico abbiano qualcosa di miracoloso persino contro l’infertilità.
Le conseguenze non saranno solo queste e la situazione pian piano sfuggirà di mano persino a don Fabijan, che in tutti i modi tenterà di riporre rimedio ai numerosi misfatti che si susseguiranno, ma capirà troppo tardi che non si può decidere per la vita degli altri senza inciampare in brutte conseguenze e che la malvagità dell'uomo è infinita.
Alla fine lo spettatore viene spiazzato, perché, abituato a ridere e sorridere delle simpatiche scenette che costellano il film sin dall’inizio, tutto scompare nella dura e cruda realtà affrontata nell’epilogo decisamente malinconico e dal gusto amaro.
Spingendosi attraverso difficili questioni come gli strascichi della guerra fratricida che ha segnato e segna il territorio croato ancora costellato da mine anti-uomo e la pedofilia all’interno della Chiesa cattolica, il regista però lo fa con leggerezza e senza mai puntare il dito contro verità così disarmanti e difficili da cancellare. Sceglie proprio la confessione come strumento per raccontare l’intera vicenda, lasciando sempre i riflettori puntati sullo sguardo e il viso espressivo del protagonista. Anche il taglio della storia segue un andamento adagio ma non troppo lento, dove le immagini sembrano non voler scorrere troppo velocemente per lasciare allo spettatore tutto il tempo di riflettere su quanto appena visto.
Una commedia genuina senza troppe pretese che, attraverso un tono leggero e a tratti satirico, descrive in un modo in apparenza semplicistico questioni e problemi di un certo spessore sociale.
Non viene criticato solo il marcio dietro la Chiesa ma anche molti aspetti culturali e storici che il popolo croato non si è ancora scrollato di dosso dopo i tanti anni già trascorsi dalla fine della guerra.
La sceneggiatura del film ricalca la pièce teatrale dell’amico del regista, Mate Matišic, il cui protagonista è Don Fabijan (Krešimir Mikic), un giovane petrino malcapitato, che, giunto nel piccolo villaggio di un’isola della Dalmazia, non è ben stimato al pari di don Jacov (Zdenko Botic) che vive lì da tanti anni. Riconosce di non avere peculiari qualità, ma tenta in tutti i modi di farsi piacere e di risolvere una situazione a dir poco delicata.
Nonostante sia risaputa da tempo la lotta agli anticoncezionali da parte della Chiesa, padre Fabijan viene messo davanti alla dura verità ovvero che sono proprio questi strumenti di prevenzione dalla trasmissione di malattie sessuali a impedire di far crescere il numero delle nascite.
Il problema viene portato alla sua attenzione durante una singolare confessione di un suo parrocchiano, l’edicolante Petar (Nikša Butijer), accusato dalla moglie di uccidere migliaia di possibili bambini vendendo profilattici agli abitanti dell’isola e agli stranieri d’estate.
Ecco allora che don Fabijan architetta un piano “diabolico”: basterà bucare tutti i preservativi in vendita in modo da eliminare alla radice il problema della drastica diminuzione delle nascite rispetto al crescente numero di morti sull’isola. Al lavoro del prete e dell’amico edicolante si aggiunge poi anche quello del farmacista (razzista e anti-serbo), che rincarerà la dose, vendendo alle sue clienti semplici vitamine al posto della comune pillola anticoncezionale.
Improvvisamente le gravidanze indesiderate crescono a tal punto che la notizia fa il giro del mondo e incomincia ad attirare numerosi turisti sull’isola perché tutti credono che l’aria del posto e l’acqua del mare Adriatico abbiano qualcosa di miracoloso persino contro l’infertilità.
Le conseguenze non saranno solo queste e la situazione pian piano sfuggirà di mano persino a don Fabijan, che in tutti i modi tenterà di riporre rimedio ai numerosi misfatti che si susseguiranno, ma capirà troppo tardi che non si può decidere per la vita degli altri senza inciampare in brutte conseguenze e che la malvagità dell'uomo è infinita.
Alla fine lo spettatore viene spiazzato, perché, abituato a ridere e sorridere delle simpatiche scenette che costellano il film sin dall’inizio, tutto scompare nella dura e cruda realtà affrontata nell’epilogo decisamente malinconico e dal gusto amaro.
Spingendosi attraverso difficili questioni come gli strascichi della guerra fratricida che ha segnato e segna il territorio croato ancora costellato da mine anti-uomo e la pedofilia all’interno della Chiesa cattolica, il regista però lo fa con leggerezza e senza mai puntare il dito contro verità così disarmanti e difficili da cancellare. Sceglie proprio la confessione come strumento per raccontare l’intera vicenda, lasciando sempre i riflettori puntati sullo sguardo e il viso espressivo del protagonista. Anche il taglio della storia segue un andamento adagio ma non troppo lento, dove le immagini sembrano non voler scorrere troppo velocemente per lasciare allo spettatore tutto il tempo di riflettere su quanto appena visto.
giovedì 8 maggio 2014
Ecco come una sedia può regalare la felicità!
Mai avrei pensato di potermi divertire così tanto vedendo un piccolo film come La sedia della felicità, l'ultimo girato dal conosciuto e acclamato regista Carlo Mazzacurati, scomparso prematuramente all'età di 57 anni all'inizio di quest’anno.
Un film fuori dagli schemi perché privo di grandi eroi, dove i veri protagonisti sono due persone semplici dalla vita un po' complicata. La bella e intraprendente Bruna, titolare di un centro estetico in preda a pessimi creditori (Isabella Ragonese) e Dino il tatuatore (un Valerio Mastandrea al massimo della sua comicità genuina), che attraverso i tatuaggi riesce a capire nel profondo le persone.
Recandosi in carcere come sempre per fare le unghie a una vecchia signora (una Katia Ricciarelli irriconoscibile nelle vesti “sporche” di una carcerata razzista e sboccata), Bruna assiste alla sua morte; mentre la donna sta per esalare l’ultimo respiro, le rivela un segreto: in una delle sedie del salotto buono della sua vecchia casa aveva nascosto un tesoro inestimabile di gioielli mai trovati dalla polizia.
Bruna pensa che è un’occasione da non perdere per dare una svolta alla sua vita; così anche Dino si ritrova ad aiutarla, visto che la ragazza si è impelagata in un'improbabile caccia al tesoro.
I due impazziscono a cercare tutte le sedie che nel corso del tempo sono state messe sotto sequestro, vendute all’asta e mano a mano passate di proprietario in proprietario: lo spettatore assiste divertito e incuriosito a questa rocambolesca avventura che vede coinvolgere anche qualcun’altro.
Bruna e Dino, infatti, non sono gli unici a sapere delle sedie. Anche il prete della prigione (Giuseppe Battiston) ha saputo del tesoro e ha finito per coinvolgere anche una sensitiva per farsi aiutare a ritrovarle, visto che quelle sedie sono la sua unica salvezza, dopo aver finito per impegnare persino i banchi della chiesa per venire meno a tutti i debiti accumulati a causa della sua dipendenza dal video-poker.
Dopo tanti incontri particolari con soggetti di dubbia natura e animali selvatici come cinghiali e orsi, ma anche dopo innumerevoli colpi di scena che porteranno i protagonisti in luoghi inusitati come ristoranti cinesi improvvisamente deserti, case abitate solo da migliaia di sedie inutilizzate e baite in mezzo alle Dolomiti, almeno nel finale Bruna e Dino sono felici perché scoprono di amarsi… ma se trovano o meno il tesoro non posso svelarvelo!
Mazzacurati è riuscito ampiamente nel suo progetto, regalando ai suoi spettatori un film semplice nella sua lettura ironica e divertente per tutti i siparietti che compongono la sceneggiatura. Il film vanta moltissime (e brevissime) partecipazioni amichevoli tra cui Fabrizio Bentivoglio, Silvio Orlando, Antonio Albanese, Milena Vukotic, Roberto Citran, Raul Cremona, Marco Marzocca e Natalino Balasso.
Consigliato per tutti coloro che credono ancora nelle favole e hanno voglia di estraniarsi un po’ dal tram tram di tutti i giorni, tifando per Bruna e Dino, che, come tanti, desiderano mettersi in gioco per cercare quel pizzico di tranquillità in più… e perché no, anche un po’ di felicità?!
Un film fuori dagli schemi perché privo di grandi eroi, dove i veri protagonisti sono due persone semplici dalla vita un po' complicata. La bella e intraprendente Bruna, titolare di un centro estetico in preda a pessimi creditori (Isabella Ragonese) e Dino il tatuatore (un Valerio Mastandrea al massimo della sua comicità genuina), che attraverso i tatuaggi riesce a capire nel profondo le persone.
Recandosi in carcere come sempre per fare le unghie a una vecchia signora (una Katia Ricciarelli irriconoscibile nelle vesti “sporche” di una carcerata razzista e sboccata), Bruna assiste alla sua morte; mentre la donna sta per esalare l’ultimo respiro, le rivela un segreto: in una delle sedie del salotto buono della sua vecchia casa aveva nascosto un tesoro inestimabile di gioielli mai trovati dalla polizia.
Bruna pensa che è un’occasione da non perdere per dare una svolta alla sua vita; così anche Dino si ritrova ad aiutarla, visto che la ragazza si è impelagata in un'improbabile caccia al tesoro.
I due impazziscono a cercare tutte le sedie che nel corso del tempo sono state messe sotto sequestro, vendute all’asta e mano a mano passate di proprietario in proprietario: lo spettatore assiste divertito e incuriosito a questa rocambolesca avventura che vede coinvolgere anche qualcun’altro.
Bruna e Dino, infatti, non sono gli unici a sapere delle sedie. Anche il prete della prigione (Giuseppe Battiston) ha saputo del tesoro e ha finito per coinvolgere anche una sensitiva per farsi aiutare a ritrovarle, visto che quelle sedie sono la sua unica salvezza, dopo aver finito per impegnare persino i banchi della chiesa per venire meno a tutti i debiti accumulati a causa della sua dipendenza dal video-poker.
Dopo tanti incontri particolari con soggetti di dubbia natura e animali selvatici come cinghiali e orsi, ma anche dopo innumerevoli colpi di scena che porteranno i protagonisti in luoghi inusitati come ristoranti cinesi improvvisamente deserti, case abitate solo da migliaia di sedie inutilizzate e baite in mezzo alle Dolomiti, almeno nel finale Bruna e Dino sono felici perché scoprono di amarsi… ma se trovano o meno il tesoro non posso svelarvelo!
Mazzacurati è riuscito ampiamente nel suo progetto, regalando ai suoi spettatori un film semplice nella sua lettura ironica e divertente per tutti i siparietti che compongono la sceneggiatura. Il film vanta moltissime (e brevissime) partecipazioni amichevoli tra cui Fabrizio Bentivoglio, Silvio Orlando, Antonio Albanese, Milena Vukotic, Roberto Citran, Raul Cremona, Marco Marzocca e Natalino Balasso.
Consigliato per tutti coloro che credono ancora nelle favole e hanno voglia di estraniarsi un po’ dal tram tram di tutti i giorni, tifando per Bruna e Dino, che, come tanti, desiderano mettersi in gioco per cercare quel pizzico di tranquillità in più… e perché no, anche un po’ di felicità?!
martedì 22 aprile 2014
Benvenuti al Grand Budapest Hotel!
Grand Budapest Hotel è l’ultimo capolavoro partorito dal genio di Wes Anderson, ispirato alle opere dello scrittore austriaco Stefan Zweig. Questa pellicola è stata scelta come film d'apertura della 64ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino, aggiudicandosi l’Orso d’argento e il Gran premio della giuria… peccato però che non ha avuto una notevole e meritata pubblicità e distribuzione anche in Italia.
Se come me eravate rimasti delusi dalle ultime opere cinematografiche del giovane cineasta statunitense, consiglio vivamente di correre al cinema per gustarsi questo piccolo gioiellino che ricorda tutta la simpatia e la costruzione del racconto a tappe de i Tenenbaum.
Se come me eravate rimasti delusi dalle ultime opere cinematografiche del giovane cineasta statunitense, consiglio vivamente di correre al cinema per gustarsi questo piccolo gioiellino che ricorda tutta la simpatia e la costruzione del racconto a tappe de i Tenenbaum.
Uno scrittore (Tom Wilkinson) apre le scene del film iniziando a presentare il suo ultimo libro, nato da una storia narratagli molto tempo prima, quando, negli anni ’60, ancora giovane (Jude Law) decise di soggiornare in un hotel un tempo sontuoso ma in completo decadimento prima di partire per un lungo viaggio all’estero per motivi di salute. Grazie al suo breve ma intenso incontro col misterioso milionario Zero Mustafa (F. Murray Abraham) viene a conoscere le avventure di Monsieur Gustave, un concierge molto bravo nel suo lavoro, specialmente con le clienti bionde e un po’ attempate, che era capace di soddisfare ogni bisogno all’interno del magnifico Grand Budapest Hotel, immerso tra le montagne di un'immaginaria Repubblica di Zubrowka durante gli anni ’30 in Europa (quando la guerra era ancora solo un sentore nell’aria).
Zero, in realtà, si scoprirà esser stato uno dei più intimi e cari amici nonché collaboratori di M. Gustave, quando, entrato a lavorare in hotel come giovane lobby boy in prova (uno straordinario ed espressivo Tony Revolori), fu poi trasformato nel suo garzoncello di fiducia, a cui insegnò ogni regola di cortesia e comportamento con i clienti e le sue arti amatorie instillate attraverso poesie romantiche.
Non appena presentati i vari protagonisti ecco che la storia prende una nuova piega. Madame D. (un’irriconoscibile Tilda Swinton), una delle clienti più affezionate dell’albergo, è stata ritrovata morta in casa sua e, anche se nessuno è riuscito ancora a trovare un colpevole, viene data lettura del suo testamento da parte del fidato avvocato di famiglia (Jeff Goldblum). Tra lo stupore generale dei parenti e in particolare dello spregevole figlio Dimitri (Adrien Brody), si viene a scoprire che un pregiatissimo e inestimabile dipinto intitolato “Ragazzo con mela” è stato destinato al suo fidato amante, M. Gustave.
Questo sarà solo l’incipit di una serie infinita e rocambolesca di guai, che porteranno dapprima al furto del suddetto quadro e poi M. Gustave in prigione con l’accusa di omicidio dell’anziana donna, ma da cui riuscirà a fuggire grazie all’aiuto di alcuni malviventi, conquistati a furia delle dolci leccornie preparate nella pasticceria di Agatha (Saoirse Ronan), la fidanzata (e futura moglie) di Zero.
Alla fine tutti gli omicidi commessi dal tirapiedi di Dimitri (Willen Dafoe) verranno aggiudicati al suo vero colpevole e con la lettura dell’ultimo vero testamento di Madame D. saranno cambiate le sorti di molti dei personaggi.
Sullo sfondo del film si dipana la storia principale di Gustave H. e del dipinto, ma in realtà osservando meglio ci sono molte altre microstorie in superficie, come la dolce storia d’amore tra Zero e Agata e il mondo in fermento per una nuova guerra alle porte, dove i primi segni di totalitarismo vengono fuori grazie alle figure della polizia alla frontiera capitanate da un impassibile ispettore Henkels (Edward Norton).
I paesaggi esterni color pastello ricordano molto una vecchia cartolina e, grazie a una stilizzazione infantile tipo da cartone animato, le scene spesso acquisiscono un sapore quasi da fiaba; mentre le musiche e la cura dei dettagli dei costumi e degli ambienti interni denotano un certo non so che di maniacale, che al tempo stesso si rivela essere una pura gioia per gli occhi.
La raffinatezza stilistica e visiva raggiunta da Anderson con il suo Grand Budapest Hotel è sinonimo di una virtuosa commedia capace di regalare numerose risate, in quanto risulta coinvolgente dall’inizio alla fine grazie a continui colpi di scena e alle scelte non convenzionale tipiche di questo giovane e talentuoso regista.
Nel film ci sono diversi prestigiosi cammei come quelli di Jason Schwartzman, Léa Seydoux, Mathieu Amalric, Harvey Keitel, Owen Wilson e Bill Murray, che rendono il cast memorabile (come sempre), in cui troneggia un bravissimo e acclamato attore del calibro di Ralph Fiennes, che si svela in nuove ed esilaranti vesti comiche, regalando delle vere perle di quell’ironia tipica dei grandi film del passato (ricordati con geniali citazioni), incarnando uno dei personaggi più riusciti come quello di M. Gustave, un incallito dongiovanni, dannatamente vanesio e al tempo stesso solo e malinconico.
Zero, in realtà, si scoprirà esser stato uno dei più intimi e cari amici nonché collaboratori di M. Gustave, quando, entrato a lavorare in hotel come giovane lobby boy in prova (uno straordinario ed espressivo Tony Revolori), fu poi trasformato nel suo garzoncello di fiducia, a cui insegnò ogni regola di cortesia e comportamento con i clienti e le sue arti amatorie instillate attraverso poesie romantiche.
Non appena presentati i vari protagonisti ecco che la storia prende una nuova piega. Madame D. (un’irriconoscibile Tilda Swinton), una delle clienti più affezionate dell’albergo, è stata ritrovata morta in casa sua e, anche se nessuno è riuscito ancora a trovare un colpevole, viene data lettura del suo testamento da parte del fidato avvocato di famiglia (Jeff Goldblum). Tra lo stupore generale dei parenti e in particolare dello spregevole figlio Dimitri (Adrien Brody), si viene a scoprire che un pregiatissimo e inestimabile dipinto intitolato “Ragazzo con mela” è stato destinato al suo fidato amante, M. Gustave.
Questo sarà solo l’incipit di una serie infinita e rocambolesca di guai, che porteranno dapprima al furto del suddetto quadro e poi M. Gustave in prigione con l’accusa di omicidio dell’anziana donna, ma da cui riuscirà a fuggire grazie all’aiuto di alcuni malviventi, conquistati a furia delle dolci leccornie preparate nella pasticceria di Agatha (Saoirse Ronan), la fidanzata (e futura moglie) di Zero.
Alla fine tutti gli omicidi commessi dal tirapiedi di Dimitri (Willen Dafoe) verranno aggiudicati al suo vero colpevole e con la lettura dell’ultimo vero testamento di Madame D. saranno cambiate le sorti di molti dei personaggi.
Sullo sfondo del film si dipana la storia principale di Gustave H. e del dipinto, ma in realtà osservando meglio ci sono molte altre microstorie in superficie, come la dolce storia d’amore tra Zero e Agata e il mondo in fermento per una nuova guerra alle porte, dove i primi segni di totalitarismo vengono fuori grazie alle figure della polizia alla frontiera capitanate da un impassibile ispettore Henkels (Edward Norton).
I paesaggi esterni color pastello ricordano molto una vecchia cartolina e, grazie a una stilizzazione infantile tipo da cartone animato, le scene spesso acquisiscono un sapore quasi da fiaba; mentre le musiche e la cura dei dettagli dei costumi e degli ambienti interni denotano un certo non so che di maniacale, che al tempo stesso si rivela essere una pura gioia per gli occhi.
La raffinatezza stilistica e visiva raggiunta da Anderson con il suo Grand Budapest Hotel è sinonimo di una virtuosa commedia capace di regalare numerose risate, in quanto risulta coinvolgente dall’inizio alla fine grazie a continui colpi di scena e alle scelte non convenzionale tipiche di questo giovane e talentuoso regista.
Nel film ci sono diversi prestigiosi cammei come quelli di Jason Schwartzman, Léa Seydoux, Mathieu Amalric, Harvey Keitel, Owen Wilson e Bill Murray, che rendono il cast memorabile (come sempre), in cui troneggia un bravissimo e acclamato attore del calibro di Ralph Fiennes, che si svela in nuove ed esilaranti vesti comiche, regalando delle vere perle di quell’ironia tipica dei grandi film del passato (ricordati con geniali citazioni), incarnando uno dei personaggi più riusciti come quello di M. Gustave, un incallito dongiovanni, dannatamente vanesio e al tempo stesso solo e malinconico.
mercoledì 9 aprile 2014
Il buongiorno... si vede dal mattino!
Il buongiorno del mattino (titolo originale Morning Glory) diretto dal regista Roger Michell (che ha girato il fortunatissimo Notting Hill) racconta la storia di Becky Fuller (una Rachel McAdams pimpante e camaleontica), che viene assunta come produttrice televisiva con il preciso intento di risollevare gli ascolti del programma mattutino Daybreak, che altrimenti verrebbe cancellato e lei stessa licenziata.
Becky, quindi, decide non solo di puntare a notizie più frizzanti e siparietti comici ma anche di apportare dei cambiamenti sostanziali alla conduzione del notiziario, richiamando al suo posto un leggendario giornalista e anchorman come Mike Pomeroy (Harrison Ford). Pomeroy e il suo caratteraccio, però, le daranno continuamente del filo da torcere, creando soprattutto delle polemiche insensate e pungenti con la sua co-conduttrice Colleen Peck (Diane Keaton).
Decisa però a portare ai massimi livelli di ascolto un programma assolutamente in declino, Becky preferisce lasciare da parte la sua vita privata e la possibile storia d’amore che stava prendendo forma con un suo collega produttore (Patrick Wilson) per buttarsi a capofitto nel lavoro... fin quando potrà.
Il buongiorno del mattino (la cui traduzione del titolo originale è davvero un mistero) è in realtà un’ottima commedia, che regala un Harrison Ford insolito ma davvero divertente e una Diane Keaton irriverente e simpatica, per non parlare poi del bravo (ma sottovalutato) Jeff Goldblum. Non fatevi ingannare… non si tratta della solita commedia romantica, ma di un buon film che racconta con ironia e sincerità l’amore per il lavoro ovvero per come fare una buona informazione e la bellezza di lavorare in un team affiatato.
La ricetta di oggi è una frittata, perché proprio nel film, quando Becky sembra sul punto di far carriera e accettare un nuovo impiego, Mike Pomeroy si improvvisa chef ai fornelli e prepara una semplice e gustosa frittata, che svela cucinare solo per le persone a cui tiene veramente. Venendo meno a tutti i suoi preconcetti sulla vera informazione fatta solo di scoop, è una chiara dichiarazione per Becky di come abbia deciso di piegarsi verso un nuovo modo di affrontare anche le notizie apparentemente più frivole.
Qui vi propongo una mia personale frittata… altrimenti nella ricetta classica dell’American frittata è previsto l’uso di patate, cipolle, prosciutto americano a cubetti e formaggio cheddar.
Becky, quindi, decide non solo di puntare a notizie più frizzanti e siparietti comici ma anche di apportare dei cambiamenti sostanziali alla conduzione del notiziario, richiamando al suo posto un leggendario giornalista e anchorman come Mike Pomeroy (Harrison Ford). Pomeroy e il suo caratteraccio, però, le daranno continuamente del filo da torcere, creando soprattutto delle polemiche insensate e pungenti con la sua co-conduttrice Colleen Peck (Diane Keaton).
Decisa però a portare ai massimi livelli di ascolto un programma assolutamente in declino, Becky preferisce lasciare da parte la sua vita privata e la possibile storia d’amore che stava prendendo forma con un suo collega produttore (Patrick Wilson) per buttarsi a capofitto nel lavoro... fin quando potrà.
Il buongiorno del mattino (la cui traduzione del titolo originale è davvero un mistero) è in realtà un’ottima commedia, che regala un Harrison Ford insolito ma davvero divertente e una Diane Keaton irriverente e simpatica, per non parlare poi del bravo (ma sottovalutato) Jeff Goldblum. Non fatevi ingannare… non si tratta della solita commedia romantica, ma di un buon film che racconta con ironia e sincerità l’amore per il lavoro ovvero per come fare una buona informazione e la bellezza di lavorare in un team affiatato.
La ricetta di oggi è una frittata, perché proprio nel film, quando Becky sembra sul punto di far carriera e accettare un nuovo impiego, Mike Pomeroy si improvvisa chef ai fornelli e prepara una semplice e gustosa frittata, che svela cucinare solo per le persone a cui tiene veramente. Venendo meno a tutti i suoi preconcetti sulla vera informazione fatta solo di scoop, è una chiara dichiarazione per Becky di come abbia deciso di piegarsi verso un nuovo modo di affrontare anche le notizie apparentemente più frivole.
Qui vi propongo una mia personale frittata… altrimenti nella ricetta classica dell’American frittata è previsto l’uso di patate, cipolle, prosciutto americano a cubetti e formaggio cheddar.
Ingredienti (per 3 persone): 6 uova, 3 cucchiai di scamorza affumicata a cubetti, 3 cucchiai di prosciutto cotto a cubetti, olio extra vergine d'oliva, sale e pepe.
Procedimento:
1) Preparare il prosciutto e la scamorza a cubetti;
2) Rompere le uova in una ciotola capiente e sbatterle leggermente con l’aiuto di una forchetta;
3) Preparare una padella antiaderente e porre al suo interno un po’ di olio extravergine d’oliva, che andrà fatto scaldare appena;
4) Poco prima di versare le uova nella padella calda, condirle con un pizzico di pepe e di sale;
5) Dopo aver versato una metà delle uova sbattute, procedere a muovere continuamente la padella avanti e indietro in modo da non far attaccare la frittata al fondo;
6) Lasciarla cuocere a fuoco dolce per almeno 4-5 minuti;
7) Cospargere la superficie con i cubetti di prosciutto e formaggio e poi versarvi sopra anche la restante parte delle uova sbattute in precedenza;
8) Dopodiché riporre la frittata all’interno del forno già caldo a circa 180°-200° (N.B.: lasciar il manico in plastica fuori dal forno se non lo volete far fondere) e far cuocere fin tanto da creare una superficie soffice e appena dorata;
6) Servire la frittata ancora calda (N.B.: in accompagnamento ho scelto delle cime di cavolo nero condite con un pizzico di sale e olio, che con il loro amarognolo si sposavano con il sapore un po’ dolciastro degli ingredienti della mia frittata).
P.S.: ho scelto la tecnica del forno, così evito di rovinare la frittata girandola con il classico aiuto del coperchio! ;)
2) Rompere le uova in una ciotola capiente e sbatterle leggermente con l’aiuto di una forchetta;
3) Preparare una padella antiaderente e porre al suo interno un po’ di olio extravergine d’oliva, che andrà fatto scaldare appena;
4) Poco prima di versare le uova nella padella calda, condirle con un pizzico di pepe e di sale;
5) Dopo aver versato una metà delle uova sbattute, procedere a muovere continuamente la padella avanti e indietro in modo da non far attaccare la frittata al fondo;
6) Lasciarla cuocere a fuoco dolce per almeno 4-5 minuti;
7) Cospargere la superficie con i cubetti di prosciutto e formaggio e poi versarvi sopra anche la restante parte delle uova sbattute in precedenza;
8) Dopodiché riporre la frittata all’interno del forno già caldo a circa 180°-200° (N.B.: lasciar il manico in plastica fuori dal forno se non lo volete far fondere) e far cuocere fin tanto da creare una superficie soffice e appena dorata;
6) Servire la frittata ancora calda (N.B.: in accompagnamento ho scelto delle cime di cavolo nero condite con un pizzico di sale e olio, che con il loro amarognolo si sposavano con il sapore un po’ dolciastro degli ingredienti della mia frittata).
P.S.: ho scelto la tecnica del forno, così evito di rovinare la frittata girandola con il classico aiuto del coperchio! ;)
martedì 1 aprile 2014
Profumo di cannella!
Tutti gli inguaribili romantici adorano i film del regista Gary Marshall (noto per le sue commedie rosa ben confezionate come Pretty Woman, Paura d'amare e via discorrendo), perché riesce a creare pellicole con la giusta dose di spensieratezza e romanticismo. Campione d’incassi è stato senza dubbio Se scappi, ti sposo (titolo originale Runaway Bride, 1999), forse anche perché vide il fortunato ritorno della coppia Julia Roberts e Richard Gere, supportati da un ottimo cast tra cui figurano nomi come la bravissima Joan Cusack e l'istrionico Hector Elizondo.
Ike Graham (Gere) è un giornalista di New York della famosa testata USA Today, che è sempre alla ricerca di un ottimo scoop per la sua rubrica e per caso si imbatte nella stramba storia di Maggie Carpenter (Roberts), la padrona di una ferramenta, a cui piace torturare gli uomini scappando letteralmente da loro e abbandonandoli sull’altare. La "sposa che scappa", però, non ci sta e scrive una lunga lettera al direttore del giornale (nonché ex-moglie dello stesso giornalista), in cui esige delle scuse ed elenca tutte le cose non vere citate nell’articolo. Lui viene licenziato immediatamente, ma, pur di vendicarsi, decide di andare a verificare di persona la veridicità dei fatti narrati e si reca così nel piccolo paesino dove vive Maggie. A mano a mano conoscendo tutti i membri della famiglia, i suoi amici e il futuro fidanzato (ma anche tutti gli altri poveretti che sono stati lasciati dalla donna-virago), Ike si rende conto di quanto poco la conoscano gli altri, a cui piace molto beffeggiarsi di lei e delle sue disavventure amorose. Non appena lui le fa capire di amarla e di aver capito (meglio di lei) cosa si meriti veramente, le chiede di sposarlo. Tutto sembra filare liscio, quando anche stavolta Maggie scappa via… Solo dopo che lei avrà fatto ordine nella sua vita, sarà pronta a ritornare da lui per un finale romantico alla Marshall.
La ricetta di oggi è tratta dal momento in cui Ike incontra Maggie in pasticceria, dove lei è andata a scegliere la torta e i pupazzetti da mettervi in cima. Simpatico siparietto tra i due, che si conclude con il giornalista che se ne va comprando dei dolci panini alla cannella, il cui profumo aveva inondato l’intero negozio.
La ricetta di oggi è tratta dal momento in cui Ike incontra Maggie in pasticceria, dove lei è andata a scegliere la torta e i pupazzetti da mettervi in cima. Simpatico siparietto tra i due, che si conclude con il giornalista che se ne va comprando dei dolci panini alla cannella, il cui profumo aveva inondato l’intero negozio.
I panini alla cannella, meglio noti come Cinnamon rolls, sono ottimi per la colazione o una merenda sfiziosa. Si tratta di piccoli dolci lievitati nativi del Nord Europa (molto probabilmente della Svezia), ma adottati anche nel Nord America. Io ne sono rimasta entusiasta!
Ingredienti:
Per l’impasto: 250 g farina Manitoba, 250 g farina 00, 1 cubetto di lievito di birra, 50 g zucchero semolato, 50 g burro, 1 uovo, 250 g latte parzialmente scremato, un pizzico di sale e una fialetta di vaniglia (oppure un baccello intero)
Per il ripieno: 100 g di zucchero semolato (o di canna) e un cucchiaio di cannella in polvere
Per la glassa (a piacere): zucchero a velo e acqua naturale q.b.
Procedimento:
1) Sbriciolare il lievito di birra e scioglierlo nel latte appena intiepidito;
2) Versare la farina in una ciotola capiente e disporla a mo’ di fontana;
3) Unire il lievito sciolto nel latte insieme a tutti gli altri ingredienti e iniziare a impastare energicamente;
4) Dopo aver ottenuto un impasto liscio ed elastico, lasciarlo riposare fin quando, grazie a una lievitazione di circa 2 ore, avrà raddoppiato di misura;
5) Dopodiché prendere l’impasto e stenderlo, facendo in modo che assuma una forma rettangolare spessa circa mezzo centimetro;
6) Distribuire su tutta la superficie lo zucchero profumato alla cannella e arrotolare poi l’impasto in modo da ottenere un lungo rotolo (N.B.: in molte versioni si suggerisce di unire allo zucchero e alla cannella del burro ammorbidito, ma io ho optato per una versione più light);
7) Tagliare con delicatezza il rotolo di pasta in fettine spesse circa un centimetro e mezzo;
8) Disporre le fette ottenute su di una teglia coperta con della carta forno e lasciar lievitare fino a quando i panini non avranno di nuovo raddoppiato di volume;
9) Infornare nel forno già caldo a 180°C per circa 25-30 minuti fino a quando la superficie dei panini sarà ben dorata;
10) Decorare a piacere quando sono ancora caldi con una semplice glassa, ottenuta mescolando lo zucchero a velo con pochissima acqua.
P.s.: Giusto per restare in tema, mi sembrava carino richiamare nella foto l’idea di due sposini (disegnati da me)!!! ;)
Ingredienti:
Per l’impasto: 250 g farina Manitoba, 250 g farina 00, 1 cubetto di lievito di birra, 50 g zucchero semolato, 50 g burro, 1 uovo, 250 g latte parzialmente scremato, un pizzico di sale e una fialetta di vaniglia (oppure un baccello intero)
Per il ripieno: 100 g di zucchero semolato (o di canna) e un cucchiaio di cannella in polvere
Per la glassa (a piacere): zucchero a velo e acqua naturale q.b.
Procedimento:
1) Sbriciolare il lievito di birra e scioglierlo nel latte appena intiepidito;
2) Versare la farina in una ciotola capiente e disporla a mo’ di fontana;
3) Unire il lievito sciolto nel latte insieme a tutti gli altri ingredienti e iniziare a impastare energicamente;
4) Dopo aver ottenuto un impasto liscio ed elastico, lasciarlo riposare fin quando, grazie a una lievitazione di circa 2 ore, avrà raddoppiato di misura;
5) Dopodiché prendere l’impasto e stenderlo, facendo in modo che assuma una forma rettangolare spessa circa mezzo centimetro;
6) Distribuire su tutta la superficie lo zucchero profumato alla cannella e arrotolare poi l’impasto in modo da ottenere un lungo rotolo (N.B.: in molte versioni si suggerisce di unire allo zucchero e alla cannella del burro ammorbidito, ma io ho optato per una versione più light);
7) Tagliare con delicatezza il rotolo di pasta in fettine spesse circa un centimetro e mezzo;
8) Disporre le fette ottenute su di una teglia coperta con della carta forno e lasciar lievitare fino a quando i panini non avranno di nuovo raddoppiato di volume;
9) Infornare nel forno già caldo a 180°C per circa 25-30 minuti fino a quando la superficie dei panini sarà ben dorata;
10) Decorare a piacere quando sono ancora caldi con una semplice glassa, ottenuta mescolando lo zucchero a velo con pochissima acqua.
P.s.: Giusto per restare in tema, mi sembrava carino richiamare nella foto l’idea di due sposini (disegnati da me)!!! ;)
lunedì 3 marzo 2014
I bei piattini della cuoca del Presidente!
Quando qualche mese fa ho visto questo film, non sto a dirvi neanche quanto mi fossi gasata per tutte le ricettine che avrei potuto copiare! Si tratta della pellicola francese intitolata La cuoca del Presidente (2012, titolo originale Les saveurs du Palais) di Christian Vincent.
La storia, liberamente ispirata a Madame Danièle Mazet-Delpeuch (la quale fu la cuoca personale del presidente François Mitterrand), narra le vicessitudini di una famosa chef francesce, Hortense Laborie (Catherine Frot conosciuta per La cena dei cretini o La voltapagine), la quale viene chiamata per cucinare all'Eliseo per l'uomo più potente della Francia, il Presidente della Repubblica (Jean d'Ormesson).
La storia, liberamente ispirata a Madame Danièle Mazet-Delpeuch (la quale fu la cuoca personale del presidente François Mitterrand), narra le vicessitudini di una famosa chef francesce, Hortense Laborie (Catherine Frot conosciuta per La cena dei cretini o La voltapagine), la quale viene chiamata per cucinare all'Eliseo per l'uomo più potente della Francia, il Presidente della Repubblica (Jean d'Ormesson).
Grazie alle sue ricette sfiziose legate alla tradizione e fatte con ingredienti pregiati porterà molte novità nella cucina del Palazzo e riuscirà a prendere per la gola persino Monsieur le Président, anche se dovrà vedersela con gli altri chef della cucina centrale e con i burocrati che la bacchettano per le troppe spese... ma si sa, a volte per mangiar bene bisogna spendere!
Ecco a voi il mio personale esperimento del cavolo farcito con salmone e carote... vi avverto che questa sarà solo la prima delle tante ricette che prenderò da questo film!
Ingredienti (per 4-5 persone): 500 g di filetti di salmone fresco, 1 cavolo verza, 2 porri, 2 carote, 1 patata, 1/2 cipolla bianca, finocchietto selvatico, origano, sale grigio della Bretagna, sale e olio extra vergine d'oliva
Procedimento:
1) Sbollentare in acqua bollente salata le foglie di cavolo verza precedentemente mondate;
2) Nel frattempo far imbiondire in un pentolino con un filo d'olio la cipolla tagliata sottile, dopodiché aggiungere anche le carote e la patata tagliate a tocchetti, le quali, a cottura ultimata, andranno frullate leggermente;
3) In un altro padellino far cuocere leggermente i porri tagliati a rondelle con un pizzico di origano, sale e un filo d'olio;
4) Prendere una bacinella rotonda di medie dimensioni e ricoprirla con della mussola o con un semplice panno di cotone molto sottile;
5) Iniziare a foderare le pareti della bacinella con le foglie di cavolo verza, da coprire poi con uno strato di filetti di salmone, che andranno salati leggermente con del sale grigio di Bretagna;
6) Dopo aver ricoperto con un paio di cucchiaiate di porri, ricominciare dallo strato di verza e continuare come descritto in precedenza;
7) Una volta terminati gli strati, procedere a chiudere il panno ben stretto con dello spago da cucina;
8) Procedere a far bollire il fagotto nella stessa acqua usata in precedenza per sbollentare il cavolo verza, dove si andrà ad aggiungere un mazzetto di finocchietto selvatico;
9) Dopo circa 20 minuti togliere dall'acqua e lasciar raffreddare;
10) Togliere delicatamente il panno e procedere a tagliare delle fette di medie dimensioni, che andranno posto al centro del piatto sopra un letto di purea di carote e patate preparata in precedenza.
Ecco a voi il mio personale esperimento del cavolo farcito con salmone e carote... vi avverto che questa sarà solo la prima delle tante ricette che prenderò da questo film!
Ingredienti (per 4-5 persone): 500 g di filetti di salmone fresco, 1 cavolo verza, 2 porri, 2 carote, 1 patata, 1/2 cipolla bianca, finocchietto selvatico, origano, sale grigio della Bretagna, sale e olio extra vergine d'oliva
Procedimento:
1) Sbollentare in acqua bollente salata le foglie di cavolo verza precedentemente mondate;
2) Nel frattempo far imbiondire in un pentolino con un filo d'olio la cipolla tagliata sottile, dopodiché aggiungere anche le carote e la patata tagliate a tocchetti, le quali, a cottura ultimata, andranno frullate leggermente;
3) In un altro padellino far cuocere leggermente i porri tagliati a rondelle con un pizzico di origano, sale e un filo d'olio;
4) Prendere una bacinella rotonda di medie dimensioni e ricoprirla con della mussola o con un semplice panno di cotone molto sottile;
5) Iniziare a foderare le pareti della bacinella con le foglie di cavolo verza, da coprire poi con uno strato di filetti di salmone, che andranno salati leggermente con del sale grigio di Bretagna;
6) Dopo aver ricoperto con un paio di cucchiaiate di porri, ricominciare dallo strato di verza e continuare come descritto in precedenza;
7) Una volta terminati gli strati, procedere a chiudere il panno ben stretto con dello spago da cucina;
8) Procedere a far bollire il fagotto nella stessa acqua usata in precedenza per sbollentare il cavolo verza, dove si andrà ad aggiungere un mazzetto di finocchietto selvatico;
9) Dopo circa 20 minuti togliere dall'acqua e lasciar raffreddare;
10) Togliere delicatamente il panno e procedere a tagliare delle fette di medie dimensioni, che andranno posto al centro del piatto sopra un letto di purea di carote e patate preparata in precedenza.
P.s.: Nel film il piatto viene presentato con delle carotine della Loira appena sbollentate... perdonatemi, se io ho preferito quelle del mio orto e stravolgere leggermente la presentazione!
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