La mafia uccide solo d'estate è il titolo dell'opera prima di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif (noto per il suo esordio a Le iene e attualmente presente su MTV con la conduzione de Il testimone), con Cristiana Capotondi, Claudio Gioé e Ninni Bruschetta. La sceneggiatura è stata scritta dallo stesso Pif in compagnia di Michele Astori e Marco Martani e il film ha partecipato all'ultimo festival del cinema di Torino.
La ben nota irriverenza di Pif, un po' camuffata da un sottile umorismo, ha saputo regalare un modo diverso di raccontare la mafia: un'ottima opera prima che spero porterà il suo regista a continuare su questa strada.
La mafia uccide solo d’estate è fondamentalmente la storia d’amore nata tra i banchi di scuola tra i due piccoli protagonisti, Arturo e Flora, ma pian piano si trasforma in un vero e proprio atto d’amore da parte del regista Pif verso la Sicilia e in particolare verso i palermitani, che hanno finalmente iniziato a provare schifo verso coloro che commettevano atti indegni tra gli anni ’70 e ’90, uccidendo proprio coloro che credevano veramente di compiere un servizio alla nazione, lottando per un’Italia migliore e libera dalla mafia. Sin dalla sua nascita il piccolo Arturo ha visto legare la sua esistenza ai delitti di mafia più eclatanti accaduti nella Palermo di quei famosi anni di piombo, a personaggi di spicco e politici influenti quali Giulio Andreotti, che si trasforma per Arturo in una sorta di rock-star: per Carnevale decide di indossare un costume con le sue fattezze; ne ritaglia in modo ossessivo tutte le foto sui giornali e convince persino il padre a regalargli una sua gigantografia da appendere in camera e a portarlo a un suo comizio.
Perdutamente innamorato di una sua compagna di classe, Flora (Cristiana Capotondi, che riesce in un credibilissimo accento siculo), Arturo tenterà in tutti i modi di conquistarla seguendo le mosse in campo amoroso dello stesso premier Andreotti. La convince addirittura del fatto che conosce un mafioso in persona… un ottimo espediente per far colpo su di lei, che si rivelerà invece l’ennesimo fallimento. Arturo ha perso credibilità agli occhi della ragazzina, ma anche col passare degli anni il suo sentimento per lei non sembra cambiare.
Anche se a quel tempo tutti dicevano che i mafiosi non esistevano e per chi veniva ucciso da Cosa Nostra c’era sempre una scusa dietro per giustificarne la morte, non appena le uccisioni iniziano a crescere in maniera esponenziale, il padre della piccola Flora decide di andarsene in Svizzera, perché la Sicilia non è più un paese sicuro… e Arturo? Giura che non si innamorerà mai più di una donna in vita sua, ma dopo diversi anni il destino decide di farli rincontrare.
Flora è diventata l’assistente dell’onorevole Lima, mentre Arturo è stato assunto in una piccola emittente televisiva quasi per pietà e si ritrova a seguire l’inizio della campagna elettorale del politico.
Il suo sogno da bambino di diventare un giornalista d’assalto era andato scomparendo negli anni, ma pian piano il suo cuore sopito e annebbiato da quel dover stare in silenzio o di far finta di non vedere nulla, lo portano a un completo risveglio e a vedere finalmente cosa sta accadendo intorno a lui. Nel film vengono mostrate molte immagini e filmati di repertorio, legate soprattutto alla morte di personaggi di spicco come il giudice Rocco Chinnici (che nel film vive nello stesso palazzo della bambina Flora e aveva cercato di aiutare Arturo a conquistare il cuore della bambina), il commissario Boris Giuliano (il quale fa conoscere ad Arturo-bambino i famosi pasticcini siciliani chiamati Iris) o il Generale Dalla Chiesa (al quale il piccolo riesce a strappare una delle ultime interviste).
L'unico che Arturo non riesce a incontrare o a intervistare è proprio il suo idolo, Giulio Andreotti, che nel film non viene messo sotto una buona luce, anche se non gli vengono attribuiti riferimenti negativi espliciti; al contrario i boss mafiosi come Totò Riina vengono ritratti in modo quasi simpatico, trasformandoli in macchiette buffe e grottesche allo stesso tempo.
Pif ha sentito il forte bisogno di raccontare questa drammatica pagina della storia italiana, che viene spesso dimenticata o citata in modo frettoloso, in modo da lasciare un segno significativo proprio per quella generazione di giovanissimi, che non ha vissuto in prima persona questi eventi. Anche se mascherato con un lieve umorismo nero, questo film è un’opera di spessore da non sottovalutare, che scava fino in fondo al dolore legato a quei ricordi, dimostrando che non bisogna arrendersi all’omertà, ma occorre ribellarsi ai dettami di Cosa Nostra e riuscire a fare la differenza.
Cambiare in meglio è possibile, altrimenti il significato celato nella morte di grandi uomini come Falcone e Borsellino, che hanno davvero tentato di sconfiggere un male tanto grande come quello della mafia, sarà vano.
Bellissima la scena finale dove vengono mostrate tutte le targhe commemorative delle “più famose” vittime di mafia per le vie e i luoghi di Palermo, che vogliono rappresentare un monito dell’impegno e del coraggio di questi uomini, il cui lavoro è stato raccolto e continuato da chi ha saputo prendere esempio dalle loro azioni, volendo finire un progetto lasciato a metà.
Perdutamente innamorato di una sua compagna di classe, Flora (Cristiana Capotondi, che riesce in un credibilissimo accento siculo), Arturo tenterà in tutti i modi di conquistarla seguendo le mosse in campo amoroso dello stesso premier Andreotti. La convince addirittura del fatto che conosce un mafioso in persona… un ottimo espediente per far colpo su di lei, che si rivelerà invece l’ennesimo fallimento. Arturo ha perso credibilità agli occhi della ragazzina, ma anche col passare degli anni il suo sentimento per lei non sembra cambiare.
Anche se a quel tempo tutti dicevano che i mafiosi non esistevano e per chi veniva ucciso da Cosa Nostra c’era sempre una scusa dietro per giustificarne la morte, non appena le uccisioni iniziano a crescere in maniera esponenziale, il padre della piccola Flora decide di andarsene in Svizzera, perché la Sicilia non è più un paese sicuro… e Arturo? Giura che non si innamorerà mai più di una donna in vita sua, ma dopo diversi anni il destino decide di farli rincontrare.
Flora è diventata l’assistente dell’onorevole Lima, mentre Arturo è stato assunto in una piccola emittente televisiva quasi per pietà e si ritrova a seguire l’inizio della campagna elettorale del politico.
Il suo sogno da bambino di diventare un giornalista d’assalto era andato scomparendo negli anni, ma pian piano il suo cuore sopito e annebbiato da quel dover stare in silenzio o di far finta di non vedere nulla, lo portano a un completo risveglio e a vedere finalmente cosa sta accadendo intorno a lui. Nel film vengono mostrate molte immagini e filmati di repertorio, legate soprattutto alla morte di personaggi di spicco come il giudice Rocco Chinnici (che nel film vive nello stesso palazzo della bambina Flora e aveva cercato di aiutare Arturo a conquistare il cuore della bambina), il commissario Boris Giuliano (il quale fa conoscere ad Arturo-bambino i famosi pasticcini siciliani chiamati Iris) o il Generale Dalla Chiesa (al quale il piccolo riesce a strappare una delle ultime interviste).
L'unico che Arturo non riesce a incontrare o a intervistare è proprio il suo idolo, Giulio Andreotti, che nel film non viene messo sotto una buona luce, anche se non gli vengono attribuiti riferimenti negativi espliciti; al contrario i boss mafiosi come Totò Riina vengono ritratti in modo quasi simpatico, trasformandoli in macchiette buffe e grottesche allo stesso tempo.
Pif ha sentito il forte bisogno di raccontare questa drammatica pagina della storia italiana, che viene spesso dimenticata o citata in modo frettoloso, in modo da lasciare un segno significativo proprio per quella generazione di giovanissimi, che non ha vissuto in prima persona questi eventi. Anche se mascherato con un lieve umorismo nero, questo film è un’opera di spessore da non sottovalutare, che scava fino in fondo al dolore legato a quei ricordi, dimostrando che non bisogna arrendersi all’omertà, ma occorre ribellarsi ai dettami di Cosa Nostra e riuscire a fare la differenza.
Cambiare in meglio è possibile, altrimenti il significato celato nella morte di grandi uomini come Falcone e Borsellino, che hanno davvero tentato di sconfiggere un male tanto grande come quello della mafia, sarà vano.
Bellissima la scena finale dove vengono mostrate tutte le targhe commemorative delle “più famose” vittime di mafia per le vie e i luoghi di Palermo, che vogliono rappresentare un monito dell’impegno e del coraggio di questi uomini, il cui lavoro è stato raccolto e continuato da chi ha saputo prendere esempio dalle loro azioni, volendo finire un progetto lasciato a metà.
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