Grand Budapest Hotel è l’ultimo capolavoro partorito dal genio di Wes Anderson, ispirato alle opere dello scrittore austriaco Stefan Zweig. Questa pellicola è stata scelta come film d'apertura della 64ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino, aggiudicandosi l’Orso d’argento e il Gran premio della giuria… peccato però che non ha avuto una notevole e meritata pubblicità e distribuzione anche in Italia.
Se come me eravate rimasti delusi dalle ultime opere cinematografiche del giovane cineasta statunitense, consiglio vivamente di correre al cinema per gustarsi questo piccolo gioiellino che ricorda tutta la simpatia e la costruzione del racconto a tappe de i Tenenbaum.
Se come me eravate rimasti delusi dalle ultime opere cinematografiche del giovane cineasta statunitense, consiglio vivamente di correre al cinema per gustarsi questo piccolo gioiellino che ricorda tutta la simpatia e la costruzione del racconto a tappe de i Tenenbaum.
Uno scrittore (Tom Wilkinson) apre le scene del film iniziando a presentare il suo ultimo libro, nato da una storia narratagli molto tempo prima, quando, negli anni ’60, ancora giovane (Jude Law) decise di soggiornare in un hotel un tempo sontuoso ma in completo decadimento prima di partire per un lungo viaggio all’estero per motivi di salute. Grazie al suo breve ma intenso incontro col misterioso milionario Zero Mustafa (F. Murray Abraham) viene a conoscere le avventure di Monsieur Gustave, un concierge molto bravo nel suo lavoro, specialmente con le clienti bionde e un po’ attempate, che era capace di soddisfare ogni bisogno all’interno del magnifico Grand Budapest Hotel, immerso tra le montagne di un'immaginaria Repubblica di Zubrowka durante gli anni ’30 in Europa (quando la guerra era ancora solo un sentore nell’aria).
Zero, in realtà, si scoprirà esser stato uno dei più intimi e cari amici nonché collaboratori di M. Gustave, quando, entrato a lavorare in hotel come giovane lobby boy in prova (uno straordinario ed espressivo Tony Revolori), fu poi trasformato nel suo garzoncello di fiducia, a cui insegnò ogni regola di cortesia e comportamento con i clienti e le sue arti amatorie instillate attraverso poesie romantiche.
Non appena presentati i vari protagonisti ecco che la storia prende una nuova piega. Madame D. (un’irriconoscibile Tilda Swinton), una delle clienti più affezionate dell’albergo, è stata ritrovata morta in casa sua e, anche se nessuno è riuscito ancora a trovare un colpevole, viene data lettura del suo testamento da parte del fidato avvocato di famiglia (Jeff Goldblum). Tra lo stupore generale dei parenti e in particolare dello spregevole figlio Dimitri (Adrien Brody), si viene a scoprire che un pregiatissimo e inestimabile dipinto intitolato “Ragazzo con mela” è stato destinato al suo fidato amante, M. Gustave.
Questo sarà solo l’incipit di una serie infinita e rocambolesca di guai, che porteranno dapprima al furto del suddetto quadro e poi M. Gustave in prigione con l’accusa di omicidio dell’anziana donna, ma da cui riuscirà a fuggire grazie all’aiuto di alcuni malviventi, conquistati a furia delle dolci leccornie preparate nella pasticceria di Agatha (Saoirse Ronan), la fidanzata (e futura moglie) di Zero.
Alla fine tutti gli omicidi commessi dal tirapiedi di Dimitri (Willen Dafoe) verranno aggiudicati al suo vero colpevole e con la lettura dell’ultimo vero testamento di Madame D. saranno cambiate le sorti di molti dei personaggi.
Sullo sfondo del film si dipana la storia principale di Gustave H. e del dipinto, ma in realtà osservando meglio ci sono molte altre microstorie in superficie, come la dolce storia d’amore tra Zero e Agata e il mondo in fermento per una nuova guerra alle porte, dove i primi segni di totalitarismo vengono fuori grazie alle figure della polizia alla frontiera capitanate da un impassibile ispettore Henkels (Edward Norton).
I paesaggi esterni color pastello ricordano molto una vecchia cartolina e, grazie a una stilizzazione infantile tipo da cartone animato, le scene spesso acquisiscono un sapore quasi da fiaba; mentre le musiche e la cura dei dettagli dei costumi e degli ambienti interni denotano un certo non so che di maniacale, che al tempo stesso si rivela essere una pura gioia per gli occhi.
La raffinatezza stilistica e visiva raggiunta da Anderson con il suo Grand Budapest Hotel è sinonimo di una virtuosa commedia capace di regalare numerose risate, in quanto risulta coinvolgente dall’inizio alla fine grazie a continui colpi di scena e alle scelte non convenzionale tipiche di questo giovane e talentuoso regista.
Nel film ci sono diversi prestigiosi cammei come quelli di Jason Schwartzman, Léa Seydoux, Mathieu Amalric, Harvey Keitel, Owen Wilson e Bill Murray, che rendono il cast memorabile (come sempre), in cui troneggia un bravissimo e acclamato attore del calibro di Ralph Fiennes, che si svela in nuove ed esilaranti vesti comiche, regalando delle vere perle di quell’ironia tipica dei grandi film del passato (ricordati con geniali citazioni), incarnando uno dei personaggi più riusciti come quello di M. Gustave, un incallito dongiovanni, dannatamente vanesio e al tempo stesso solo e malinconico.
Zero, in realtà, si scoprirà esser stato uno dei più intimi e cari amici nonché collaboratori di M. Gustave, quando, entrato a lavorare in hotel come giovane lobby boy in prova (uno straordinario ed espressivo Tony Revolori), fu poi trasformato nel suo garzoncello di fiducia, a cui insegnò ogni regola di cortesia e comportamento con i clienti e le sue arti amatorie instillate attraverso poesie romantiche.
Non appena presentati i vari protagonisti ecco che la storia prende una nuova piega. Madame D. (un’irriconoscibile Tilda Swinton), una delle clienti più affezionate dell’albergo, è stata ritrovata morta in casa sua e, anche se nessuno è riuscito ancora a trovare un colpevole, viene data lettura del suo testamento da parte del fidato avvocato di famiglia (Jeff Goldblum). Tra lo stupore generale dei parenti e in particolare dello spregevole figlio Dimitri (Adrien Brody), si viene a scoprire che un pregiatissimo e inestimabile dipinto intitolato “Ragazzo con mela” è stato destinato al suo fidato amante, M. Gustave.
Questo sarà solo l’incipit di una serie infinita e rocambolesca di guai, che porteranno dapprima al furto del suddetto quadro e poi M. Gustave in prigione con l’accusa di omicidio dell’anziana donna, ma da cui riuscirà a fuggire grazie all’aiuto di alcuni malviventi, conquistati a furia delle dolci leccornie preparate nella pasticceria di Agatha (Saoirse Ronan), la fidanzata (e futura moglie) di Zero.
Alla fine tutti gli omicidi commessi dal tirapiedi di Dimitri (Willen Dafoe) verranno aggiudicati al suo vero colpevole e con la lettura dell’ultimo vero testamento di Madame D. saranno cambiate le sorti di molti dei personaggi.
Sullo sfondo del film si dipana la storia principale di Gustave H. e del dipinto, ma in realtà osservando meglio ci sono molte altre microstorie in superficie, come la dolce storia d’amore tra Zero e Agata e il mondo in fermento per una nuova guerra alle porte, dove i primi segni di totalitarismo vengono fuori grazie alle figure della polizia alla frontiera capitanate da un impassibile ispettore Henkels (Edward Norton).
I paesaggi esterni color pastello ricordano molto una vecchia cartolina e, grazie a una stilizzazione infantile tipo da cartone animato, le scene spesso acquisiscono un sapore quasi da fiaba; mentre le musiche e la cura dei dettagli dei costumi e degli ambienti interni denotano un certo non so che di maniacale, che al tempo stesso si rivela essere una pura gioia per gli occhi.
La raffinatezza stilistica e visiva raggiunta da Anderson con il suo Grand Budapest Hotel è sinonimo di una virtuosa commedia capace di regalare numerose risate, in quanto risulta coinvolgente dall’inizio alla fine grazie a continui colpi di scena e alle scelte non convenzionale tipiche di questo giovane e talentuoso regista.
Nel film ci sono diversi prestigiosi cammei come quelli di Jason Schwartzman, Léa Seydoux, Mathieu Amalric, Harvey Keitel, Owen Wilson e Bill Murray, che rendono il cast memorabile (come sempre), in cui troneggia un bravissimo e acclamato attore del calibro di Ralph Fiennes, che si svela in nuove ed esilaranti vesti comiche, regalando delle vere perle di quell’ironia tipica dei grandi film del passato (ricordati con geniali citazioni), incarnando uno dei personaggi più riusciti come quello di M. Gustave, un incallito dongiovanni, dannatamente vanesio e al tempo stesso solo e malinconico.
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