Paolo Virzì ha fatto davvero centro con la sua ultima fatica cinematografica dal titolo Il capitale umano, liberamente tratta dall'omonimo romanzo di Stephen Amidon (il quale, invece, è ambientato in Connecticut), il cui significato intrinseco deriva dal concetto usato dal mondo assicurativo per quantificare il valore monetario di una vita umana.
Abbandonati i tipici toni ilari e cinici, Virzì si è catapultato con grande maestria in un genere noir, visibile anche dalla scelta dei colori grigi e scuri per l’intero film e dalla cifra
stilistica e narrativa utilizzata, a dir poco lodevoli di nota.
Da una parte il film rappresenta un ritratto realistico e impietoso di un paese marcio dentro, divorato dall’arrivismo sociale e dai giochi di potere, dall’altra una gioventù “bruciata”, vittima delle colpe degli adulti che li hanno cresciuti e di una società poco attenta ai loro reali bisogni.
La storia prende vita nel cuore della Brianza e viene sapientemente suddivisa in un prologo, tre capitoli improntati su tre personaggi in modo da fornirne al meglio i diversi punti di vista (effettivamente la ripetizione delle medesime scene vede caricarsi di significati del tutto nascosti che riescono a emergere proprio grazie a una prospettiva differente) e una conclusione. Tutto ha inizio con un incidente che vede coinvolto un ciclista investito da un SUV che non si è fermato a prestargli soccorso e prima di arrivare alle conclusioni della polizia del misterioso colpevole, lo spettatore viene catapultato indietro di sei mesi per conoscere meglio i protagonisti al centro della tragedia.
Da una parte il film rappresenta un ritratto realistico e impietoso di un paese marcio dentro, divorato dall’arrivismo sociale e dai giochi di potere, dall’altra una gioventù “bruciata”, vittima delle colpe degli adulti che li hanno cresciuti e di una società poco attenta ai loro reali bisogni.
La storia prende vita nel cuore della Brianza e viene sapientemente suddivisa in un prologo, tre capitoli improntati su tre personaggi in modo da fornirne al meglio i diversi punti di vista (effettivamente la ripetizione delle medesime scene vede caricarsi di significati del tutto nascosti che riescono a emergere proprio grazie a una prospettiva differente) e una conclusione. Tutto ha inizio con un incidente che vede coinvolto un ciclista investito da un SUV che non si è fermato a prestargli soccorso e prima di arrivare alle conclusioni della polizia del misterioso colpevole, lo spettatore viene catapultato indietro di sei mesi per conoscere meglio i protagonisti al centro della tragedia.
Capitolo 1: Dino Ossola (un magistrale Fabrizio Bentivoglio) è un immobiliarista borghese, che tenta il colpaccio della sua vita investendo tutto quello che (non) ha ed entra a far parte del fondo della famiglia del magnate-broker Giovanni Bernaschi (un “detestabile” Fabrizio Gifuni), conosciuto perché sua figlia Serena (la bravissima Matilde Gioli al suo esordio), amata da tutti, frequenta Massimiliano, il rampollo riccone sottomesso al volere di un padre cinico e sempre assente. Accecato dalla cupidigia, Dino si trasforma in un ripugnante arrampicatore sociale, che vende la propria anima al diavolo-denaro, calpestando di soppiatto le persone che ama come la moglie (una Valeria Golino lasciata quasi sempre in penombra), in attesa di una coppia di gemelli.
Capitolo 2: Carla Bernaschi (un’ottima Valeria Bruni Tedeschi) è la moglie un po’ distratta di Giovanni, che, annoiata dalla sua vita immersa nel lusso più ostentato, decide di imbarcarsi in una nuova avventura ovvero salvare il teatro della piccola provincia in cui abita, destinato a essere trasformato in un complesso residenziale. Visto il suo breve passato da attrice, spera di portare avanti un progetto culturale e artistico che le possa regalare un po’ di vita, ma non vi riuscirà, tradendo anche i sogni di Donato, suo spasimante e futuro direttore artistico (Luigi Lo Cascio).
Capitolo 3: Serena è forse l’unico personaggio positivo che emerge ne Il capitale umano, poiché è l’unica che per davvero vuole aiutare gli altri e tenta di cambiare il corso degli eventi, risollevandosi da una situazione familiare a lei stretta e da un contesto sociale in cui non si rispecchia. Grazie al suo incontro con un personaggio solo in parte secondario (interpretato da un convincente Giovanni Anzaldo), alla fine si scioglierà ogni nodo e si potrà sperare anche solo per un istante in un futuro più roseo per coloro che sembrano meritarsi un piccolo ritaglio di felicità.
Con Il capitale umano Paolo Virzì ha compiuto un visibile salto di qualità in un genere che effettivamente non gli apparteneva, ma che gli ha comunque permesso di realizzare un’opera matura memorabile, coadiuvato da un cast a dir poco eccezionale, in cui spicca per bravura in particolare Bentivoglio, che è riuscito a regalare sullo schermo uno dei personaggi più infidi e arrivisti mai visti prima, che riassume in maniera eccelsa la figura dell’italiano comune che tenta di farcela a ogni costo. Senza troppi giri di parole nel film è del tutto evidente la mancanza di morale che c’è nel nostro bel paese, dove ormai l’avidità è la parola chiave a ogni livello del tessuto sociale.
P.s.: Tra i numerosi riconoscimenti aggiudicati al film di Virzì ci sono: ai David di Donatello quelli di Miglior film, Migliore sceneggiatura, Migliore attrice protagonista a Valeria Bruni Tedeschi, Migliore attrice non protagonista a Valeria Golino, Miglior attore non protagonista a Fabrizio Gifuni, Miglior montaggio e Miglior sonoro; ai Nastri d'argento, invece, ha vinto come Regista del miglior film, Migliore sceneggiatura, Migliore attore protagonista a Fabrizio Bentivoglio e Fabrizio Gifuni, Migliore scenografia, Miglior montaggio, Miglior sonoro in presa diretta e Premio Guglielmo Biraghi (assegnato dal Sindacato nazionale dei giornalisti cinematografici italiani ai talenti del cinema italiano) a Matilde Gioli; infine il premio come Migliore attrice a Valeria Bruni Tedeschi all’ultima edizione del Tribeca Film Festival.
Nessun commento:
Posta un commento