Le Meraviglie, premiato all’ultimo Festival di Cannes con il premio Grand Prix Speciale della Giuria, è un film di Alice Rohrwacher. Considerato una vera rivelazione, ha visto portare sullo schermo Alba Rohrwacher, la ben nota sorella della regista, insieme a Maria Alexandra Lungu, Sam Louwyck e alla partecipazione di Monica Bellucci.
Un film con un cast quasi tutto al film femminile, che ruota intorno alla figura di Gelsomina (una straordinaria Maria Alexandra Lungu), la maggiore di quattro figlie di una coppia di genitori apicoltori un po’ anarchici e mal assortiti (non solo per una questione linguistica ma anche di età), Wolfgang e Angelica (rispettivamente Sam Louwyck e Alba Rohrwacher). Vivono in un vecchio casale immerso tra le campagne umbre e producono unicamente miele naturale (anche se la legge impone loro l’esigenza di costruire nuovi ambienti secondo delle rigide regole igienico-sanitarie da rispettare). La loro non è una vita facile e tanto meno felice, visto che hanno molti debiti ed è sempre più difficile riuscire a sopravvivere di ciò che riescono a vendere.
Come tutte le adolescenti, Gelsomina vorrebbe essere meno schiava di un padre-padrone, che non sa fare altro che comandare, urlare e inveire contro tutti quelli che ama e uscire a conoscere il mondo moderno che le è ancora del tutto estraneo. Silenziosa, introversa e dallo sguardo malinconico, è completamente assorbita dai lavori legati all’impollinazione e alla smielatura e, anche volendo, ha imparato a mettere il miele sempre davanti a ogni cosa.
Eppure qualcosa sembra cambiare in lei quando in città arriva una troupe televisiva per un gioco a premi alla ricerca delle meraviglie locali, ovvero le famiglie ancora attaccate alle tradizioni culturali e alla genuinità dei propri prodotti.
Un mondo televisivo al limite del grottesco, rappresentato da stacchetti sgraziati e coperto di lustrini e paillettes per nascondere la futilità e la finzione di contenuti del tutto assenti che sembrano aver stancato anche la stessa presentatrice, Milly Catena (Bellucci), che è l’unica ad aver ammirato le prove di Gelsomina e forse ad aver carpito quella voglia naturale di essere vista per quella che è.
Anche se ciò che sconvolge ancora di più Gelsomina è l’incontro con Martin, un ragazzo di origini tedesche con precedenti penali che i servizi sociali stanno cercando di reinserire nella società, che non parla mai, ma sa fischiare in modo meraviglioso.
Odia ogni forma di contatto fisico e non lascia mai trasparire le sue emozioni, anche se sarà solo con Gelsomina che riuscirà a trovare una simil pace interiore.
Alla fine tutto sembra volgere alla comprensione, in cui il padre finalmente riconosce che sua figlia, la primogenita a cui ha affidato tutti i suoi segreti, sta effettivamente crescendo e diventando adulta. Tutto si risolve in un vero abbraccio collettivo all’aria aperta a contatto con la terra, divenuta simbolo di una vita semplice, anche se legata al sudore del lavoro.
Tutto è sporco e decadente, ma la vera meraviglia è vivere per ciò in cui si crede. Non è certo un film dalla trama narrativa canonica e forse questo alto livello di poeticità potrà risultare un po’ ostico a molti, ma è consigliabile ogni tanto lasciarsi andare a nuovi racconti e a nuovi protagonisti sconosciuti, che sanno raccontare anche solo con il loro sguardo tante storie interessanti come questa.
Lo scorrere del tempo in un contesto così agreste e fuori da ogni schema sembra quasi tutto uguale, ma lo sguardo della macchina da presa di Alice Rohrwacher risulta come una seconda pelle dei protagonisti e in maniera molto sensibile fornisce un punto di vista discreto e senza filtri di una sceneggiatura delicata davvero ben scritta.
Come tutte le adolescenti, Gelsomina vorrebbe essere meno schiava di un padre-padrone, che non sa fare altro che comandare, urlare e inveire contro tutti quelli che ama e uscire a conoscere il mondo moderno che le è ancora del tutto estraneo. Silenziosa, introversa e dallo sguardo malinconico, è completamente assorbita dai lavori legati all’impollinazione e alla smielatura e, anche volendo, ha imparato a mettere il miele sempre davanti a ogni cosa.
Eppure qualcosa sembra cambiare in lei quando in città arriva una troupe televisiva per un gioco a premi alla ricerca delle meraviglie locali, ovvero le famiglie ancora attaccate alle tradizioni culturali e alla genuinità dei propri prodotti.
Un mondo televisivo al limite del grottesco, rappresentato da stacchetti sgraziati e coperto di lustrini e paillettes per nascondere la futilità e la finzione di contenuti del tutto assenti che sembrano aver stancato anche la stessa presentatrice, Milly Catena (Bellucci), che è l’unica ad aver ammirato le prove di Gelsomina e forse ad aver carpito quella voglia naturale di essere vista per quella che è.
Anche se ciò che sconvolge ancora di più Gelsomina è l’incontro con Martin, un ragazzo di origini tedesche con precedenti penali che i servizi sociali stanno cercando di reinserire nella società, che non parla mai, ma sa fischiare in modo meraviglioso.
Odia ogni forma di contatto fisico e non lascia mai trasparire le sue emozioni, anche se sarà solo con Gelsomina che riuscirà a trovare una simil pace interiore.
Alla fine tutto sembra volgere alla comprensione, in cui il padre finalmente riconosce che sua figlia, la primogenita a cui ha affidato tutti i suoi segreti, sta effettivamente crescendo e diventando adulta. Tutto si risolve in un vero abbraccio collettivo all’aria aperta a contatto con la terra, divenuta simbolo di una vita semplice, anche se legata al sudore del lavoro.
Tutto è sporco e decadente, ma la vera meraviglia è vivere per ciò in cui si crede. Non è certo un film dalla trama narrativa canonica e forse questo alto livello di poeticità potrà risultare un po’ ostico a molti, ma è consigliabile ogni tanto lasciarsi andare a nuovi racconti e a nuovi protagonisti sconosciuti, che sanno raccontare anche solo con il loro sguardo tante storie interessanti come questa.
Lo scorrere del tempo in un contesto così agreste e fuori da ogni schema sembra quasi tutto uguale, ma lo sguardo della macchina da presa di Alice Rohrwacher risulta come una seconda pelle dei protagonisti e in maniera molto sensibile fornisce un punto di vista discreto e senza filtri di una sceneggiatura delicata davvero ben scritta.
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