Adoro sempre di più imboscarmi nei piccoli cinema, specialmente da quando è possibile gustare solo in luoghi simili le pellicole snobbate dai cinema multisala, anche se meritano di esser viste per la loro bellezza e genuinità molto di più dei film delle grandi case di distribuzione.
A corti discorsi… sono riuscita finalmente a vedere La mia Classe, l’ultimo film del regista e documentarista Daniele Gaglianone (anconetano di nascita ma torinese d’adozione) con un eccezionale come sempre Valerio Mastandrea.
È certamente un film fuori dal coro, soprattutto per come è stato girato e come ha deciso di raccontare l’integrazione degli immigrati nel nostro Bel Paese. Spesso ci si trova in difficoltà a capire dove finisce la finzione e dove inizia la realtà e viceversa. Sembra quasi che non esista copione e forse così è, in modo particolare quando si è rapiti dalle storie strazianti di ciascuno dei personaggi che popolano una piccola classe di extracomunitari, vogliosi di apprendere la lingua italiana.
Valerio Mastandrea veste i panni di un maestro, il quale insegna in modo appassionante e comico la propria lingua madre a un gruppo eterogeneo di stranieri, che bramano un lavoro per ottenere il permesso di soggiorno e tentano quotidianamente di integrarsi nella società.
Cosa succede però quando la scena finisce e anche la troupe e il regista entrano nell’inquadratura? Un errore di montaggio? Per niente. Tutti in questa storia sono personaggi.
Gli immigrati interpretano se stessi coinvolgendo con le loro storie da ogni parte del mondo, cariche di nostalgia e dolore, che si tramutano in calde lacrime… anche sul viso degli spettatori, impotenti di fronte a racconti così strazianti e interrotti da singhiozzi e voci strozzate.
Sin dall’inizio del film lo spettatore viene spiazzato, pensando di assistere più a un documentario che a un film, quando vede i fonici alle prese con i vari microfoni sugli attori o quando un problema di permesso di soggiorno non rinnovato a uno degli attori africani minaccia di bloccare il film.
Cosa succede? Realtà e finzione sono la stessa cosa? Sembra quasi che questa domanda debba risolverla lo spettatore da solo.
Un film potente, commovente e spesso divertente grazie all’involontaria comicità dell’intero gruppo di attori stranieri e di un Mastandrea sempre più bravo. La mia classe vuol dare un briciolo di dignità a tutti coloro che vogliono sentirsi parte viva di un progetto e, pur lasciando aperti molti interrogativi su diversi personaggi, conquista ugualmente per l’alta poeticità delle immagini e dei primi piani di persone che hanno veramente sofferto per cercare fortuna in un paese che, per via di una crisi aberrante, non accetta il diverso, additandolo come usurpatore di lavori che spesso gli stessi italiani si rifiutano di fare.
Invito tutti ad ascoltare con attenzione (come nel film) le parole della magnifica canzone L’autostrada di Daniele Silvestri, che, quasi come una reale poesia in musica, esplicita in modo chiarissimo il silenzio e l’indifferenza che spesso gli stranieri (e non) si trovano a sopportare in una società sempre più chiusa e povera di emozioni.
A corti discorsi… sono riuscita finalmente a vedere La mia Classe, l’ultimo film del regista e documentarista Daniele Gaglianone (anconetano di nascita ma torinese d’adozione) con un eccezionale come sempre Valerio Mastandrea.
È certamente un film fuori dal coro, soprattutto per come è stato girato e come ha deciso di raccontare l’integrazione degli immigrati nel nostro Bel Paese. Spesso ci si trova in difficoltà a capire dove finisce la finzione e dove inizia la realtà e viceversa. Sembra quasi che non esista copione e forse così è, in modo particolare quando si è rapiti dalle storie strazianti di ciascuno dei personaggi che popolano una piccola classe di extracomunitari, vogliosi di apprendere la lingua italiana.
Valerio Mastandrea veste i panni di un maestro, il quale insegna in modo appassionante e comico la propria lingua madre a un gruppo eterogeneo di stranieri, che bramano un lavoro per ottenere il permesso di soggiorno e tentano quotidianamente di integrarsi nella società.
Cosa succede però quando la scena finisce e anche la troupe e il regista entrano nell’inquadratura? Un errore di montaggio? Per niente. Tutti in questa storia sono personaggi.
Gli immigrati interpretano se stessi coinvolgendo con le loro storie da ogni parte del mondo, cariche di nostalgia e dolore, che si tramutano in calde lacrime… anche sul viso degli spettatori, impotenti di fronte a racconti così strazianti e interrotti da singhiozzi e voci strozzate.
Sin dall’inizio del film lo spettatore viene spiazzato, pensando di assistere più a un documentario che a un film, quando vede i fonici alle prese con i vari microfoni sugli attori o quando un problema di permesso di soggiorno non rinnovato a uno degli attori africani minaccia di bloccare il film.
Cosa succede? Realtà e finzione sono la stessa cosa? Sembra quasi che questa domanda debba risolverla lo spettatore da solo.
Un film potente, commovente e spesso divertente grazie all’involontaria comicità dell’intero gruppo di attori stranieri e di un Mastandrea sempre più bravo. La mia classe vuol dare un briciolo di dignità a tutti coloro che vogliono sentirsi parte viva di un progetto e, pur lasciando aperti molti interrogativi su diversi personaggi, conquista ugualmente per l’alta poeticità delle immagini e dei primi piani di persone che hanno veramente sofferto per cercare fortuna in un paese che, per via di una crisi aberrante, non accetta il diverso, additandolo come usurpatore di lavori che spesso gli stessi italiani si rifiutano di fare.
Invito tutti ad ascoltare con attenzione (come nel film) le parole della magnifica canzone L’autostrada di Daniele Silvestri, che, quasi come una reale poesia in musica, esplicita in modo chiarissimo il silenzio e l’indifferenza che spesso gli stranieri (e non) si trovano a sopportare in una società sempre più chiusa e povera di emozioni.
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