Con grande naturalezza e sincerità il racconto è capace di evidenziare un dolore molto personale e intimo, che si legge fin da subito negli occhi dei protagonisti.
Margherita (Buy) è una regista, oberata di lavoro sul complicato set del suo ultimo film politico, incentrato sulle difficoltà di un gruppo di operai in odore di licenziamento, in cui il protagonista (John Turturro regala un sacco di risate) principale è un eccentrico attore americano dall’improbabile pronuncia italiana, che ha difficoltà persino a memorizzare le battute e i nomi della crew sulla scena. Nel frattempo, però, la madre di Margherita (una composta Giulia Lazzarini) è stata ricoverata in gravi condizioni in ospedale e viene continuamente assistita da Giovanni (Moretti), figlio amorevole e fratello ragionevole, che riesce a dire e fare sempre la cosa giusta.
Offuscata dal dolore di una perdita sempre più imminente, Margherita è stanca, non è concentrata sul set e capisce di non riuscire a trovare la giusta chiave di lettura per il suo film, così torna alla realtà solitaria e infelice in cui è costretta a guardare in faccia una madre che lentamente si sta spegnendo, ma che ancora è determinata come ex-insegnante di latino a dare le ultime ripetizioni a sua nipote, che odia il liceo classico.
Mia madre parla anche della finzione del cinema, presentando un film nel film che non sembra mai ingranare davvero, perché non riesce a ricreare le sensazioni di quella realtà semplice e allo stesso tempo troppo difficile da riportare sul grande schermo.
Moretti ha messo a nudo con grande sobrietà il dolore della perdita di sua madre ed è ragguardevole che abbia ceduto il suo alter-ego nelle mani esperte di Margherita Buy e si sia nascosto dietro la maschera confortevole del bravo fratello, capace di affrontare con misura e compostezza la malattia della mamma morente.
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