martedì 22 aprile 2014

Benvenuti al Grand Budapest Hotel!


Grand Budapest Hotel è l’ultimo capolavoro partorito dal genio di Wes Anderson, ispirato alle opere dello scrittore austriaco Stefan Zweig. Questa pellicola è stata scelta come film d'apertura della 64ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino, aggiudicandosi l’Orso d’argento e il Gran premio della giuria… peccato però che non ha avuto una notevole e meritata pubblicità e distribuzione anche in Italia.
Se come me eravate rimasti delusi dalle ultime opere cinematografiche del giovane cineasta statunitense, consiglio vivamente di correre al cinema per gustarsi questo piccolo gioiellino che ricorda tutta la simpatia e la costruzione del racconto a tappe de i Tenenbaum.
Uno scrittore (Tom Wilkinson) apre le scene del film iniziando a presentare il suo ultimo libro, nato da una storia narratagli molto tempo prima, quando, negli anni ’60, ancora giovane (Jude Law) decise di soggiornare in un hotel un tempo sontuoso ma in completo decadimento prima di partire per un lungo viaggio all’estero per motivi di salute. Grazie al suo breve ma intenso incontro col misterioso milionario Zero Mustafa (F. Murray Abraham) viene a conoscere le avventure di Monsieur Gustave, un concierge molto bravo nel suo lavoro, specialmente con le clienti bionde e un po’ attempate, che era capace di soddisfare ogni bisogno all’interno del magnifico Grand Budapest Hotel, immerso tra le montagne di un'immaginaria Repubblica di Zubrowka durante gli anni ’30 in Europa (quando la guerra era ancora solo un sentore nell’aria).
Zero, in realtà, si scoprirà esser stato uno dei più intimi e cari amici nonché collaboratori di M. Gustave, quando, entrato a lavorare in hotel come giovane lobby boy in prova (uno straordinario ed espressivo Tony Revolori), fu poi trasformato nel suo garzoncello di fiducia, a cui insegnò ogni regola di cortesia e comportamento con i clienti e le sue arti amatorie instillate attraverso poesie romantiche.
Non appena presentati i vari protagonisti ecco che la storia prende una nuova piega. Madame D. (un’irriconoscibile Tilda Swinton), una delle clienti più affezionate dell’albergo, è stata ritrovata morta in casa sua e, anche se nessuno è riuscito ancora a trovare un colpevole, viene data lettura del suo testamento da parte del fidato avvocato di famiglia (Jeff Goldblum). Tra lo stupore generale dei parenti e in particolare dello spregevole figlio Dimitri (Adrien Brody), si viene a scoprire che un pregiatissimo e inestimabile dipinto intitolato “Ragazzo con mela” è stato destinato al suo fidato amante, M. Gustave.
Questo sarà solo l’incipit di una serie infinita e rocambolesca di guai, che porteranno dapprima al furto del suddetto quadro e poi M. Gustave in prigione con l’accusa di omicidio dell’anziana donna, ma da cui riuscirà a fuggire grazie all’aiuto di alcuni malviventi, conquistati a furia delle dolci leccornie preparate nella pasticceria di Agatha (Saoirse Ronan), la fidanzata (e futura moglie) di Zero.
Alla fine tutti gli omicidi commessi dal tirapiedi di Dimitri (Willen Dafoe) verranno aggiudicati al suo vero colpevole e con la lettura dell’ultimo vero testamento di Madame D. saranno cambiate le sorti di molti dei personaggi.
Sullo sfondo del film si dipana la storia principale di Gustave H. e del dipinto, ma in realtà osservando meglio ci sono molte altre microstorie in superficie, come la dolce storia d’amore tra Zero e Agata e il mondo in fermento per una nuova guerra alle porte, dove i primi segni di totalitarismo vengono fuori grazie alle figure della polizia alla frontiera capitanate da un impassibile ispettore Henkels (Edward Norton).
I paesaggi esterni color pastello ricordano molto una vecchia cartolina e, grazie a una stilizzazione infantile tipo da cartone animato, le scene spesso acquisiscono un sapore quasi da fiaba; mentre le musiche e la cura dei dettagli dei costumi e degli ambienti interni denotano un certo non so che di maniacale, che al tempo stesso si rivela essere una pura gioia per gli occhi.
La raffinatezza stilistica e visiva raggiunta da Anderson con il suo Grand Budapest Hotel è sinonimo di una virtuosa commedia capace di regalare numerose risate, in quanto risulta coinvolgente dall’inizio alla fine grazie a continui colpi di scena e alle scelte non convenzionale tipiche di questo giovane e talentuoso regista.
Nel film ci sono diversi prestigiosi cammei come quelli di Jason Schwartzman, Léa Seydoux, Mathieu Amalric, Harvey Keitel, Owen Wilson e Bill Murray, che rendono il cast memorabile (come sempre), in cui troneggia un bravissimo e acclamato attore del calibro di Ralph Fiennes, che si svela in nuove ed esilaranti vesti comiche, regalando delle vere perle di quell’ironia tipica dei grandi film del passato (ricordati con geniali citazioni), incarnando uno dei personaggi più riusciti come quello di M. Gustave, un incallito dongiovanni, dannatamente vanesio e al tempo stesso solo e malinconico.


martedì 15 aprile 2014

Po... Porr... Porridge

L'incarico (1997, titolo originale The Assignment) è un film del regista Christian Duguay (conosciuto anche per L'arte della guerra) con Ben KingsleyAidan Quinn e Donald Sutherland. Annibal Ramirez (Quinn) è un ufficiale della Marina americana di origine cubana, il quale sfortunatamente somiglia come una goccia d’acqua a Carlos, uno dei terroristi più spietati al mondo, colpevole di numerosi ed efferati attentati. Dopo essere stato confuso per sbaglio per il criminale in questione, l'agente della CIA Jack Show (Sutherland) e Amos del Mossad (Kingsley) lo convincono ad addestrarsi con loro e a tendere una trappola a Carlos per acciuffarlo. A causa di un lunghissimo ed estenuante addestramento, Annibal viene sconvolto fisicamente e psicologicamente, dovendo iniziare ad agire come un uomo malvagio, capace di trattar male le sue amanti e uccidere chiunque a sangue freddo. Lontano dalla sua famiglia, Annibal vedrà pian piano crollare tutto ciò in cui credeva un tempo e una forte crisi d’identità lo assalirà perché inizierà a dubitare di se stesso, incapace di distinguere tra bene e male. Il finale è (leggermente) da cardiopalma e tutto sommato L’incarico è un film d’azione infarcito di tanti bravi attori, ben confezionato nel modo di essere girato e privo dei soliti cliché americani. Ma veniamo alla ricetta…
Annibal deve imparare ogni minimo dettaglio sulla vita del terrorista Carlos e per guardare il mondo con i suoi stessi occhi, lo costringono a rivivere molte delle disavventure che gli sono capitate.
Ecco allora che parte dell’addestramento prevede di fargli mangiare a ogni pasto un pentolone intero di porridge… alla fine Annibal sarà così nauseato dal dover mangiare tutti i giorni la stessa cosa, che inizierà proprio a odiarla come lo stesso Carlos.
Ma che cos’è il porridge? Nel Regno Unito è un classico della colazione ed è un piatto molto salutare a base di avena. Sinceramente non è molto allettante da vedersi, ma ha un gusto molto delicato. Si sa che le cose che fanno bene, spesso non sono così belle da mangiare?!


Ingredienti (per una persona): 25-30 g fiocchi di avena, 1/2 tazza di latte parzialmente scremato, 1/2 tazza di acqua e un pizzico di sale.

Procedimento:
1) Versare i fiocchi di avena in un pentolino con l’acqua e un pizzico di sale;
2) Far cuocere a fuoco moderato, mescolando in continuazione per circa 5 minuti, fin quando l’acqua non sarà evaporata e l’avena si sarà ridotta in poltiglia;
3) Aggiungere poi il latte e far cuocere ancora per qualche minuto fino a ottenere un composto molto cremoso;
4) Versare il porridge in una ciotola e guarnire con del miele, della banana fresca (o leggermente caramellata con del zucchero di canna) e delle fragole a pezzettini (N.B. per renderlo ancora più gustoso potete aggiungere anche una spolverata di frutta secca come mandorle o nocciole).

P.s.: E’ ancora più veloce da preparare utilizzando l’avena a cottura istantanea. Si può accompagnare con ogni genere di frutta fresca o secca a piacere e servire anche con dello sciroppo d’acero. Provate a inventare voi la variante che vi stuzzica di più!

mercoledì 9 aprile 2014

Il buongiorno... si vede dal mattino!

Il buongiorno del mattino (titolo originale Morning Glory) diretto dal regista Roger Michell (che ha girato il fortunatissimo Notting Hill) racconta la storia di Becky Fuller (una Rachel McAdams pimpante e camaleontica), che viene assunta come produttrice televisiva con il preciso intento di risollevare gli ascolti del programma mattutino Daybreak, che altrimenti verrebbe cancellato e lei stessa licenziata.
Becky, quindi, decide non solo di puntare a notizie più frizzanti e siparietti comici ma anche di apportare dei cambiamenti sostanziali alla conduzione del notiziario, richiamando al suo posto un leggendario giornalista e anchorman come Mike Pomeroy (Harrison Ford). Pomeroy e il suo caratteraccio, però, le daranno continuamente del filo da torcere, creando soprattutto delle polemiche insensate e pungenti con la sua co-conduttrice Colleen Peck (Diane Keaton).
Decisa però a portare ai massimi livelli di ascolto un programma assolutamente in declino, Becky preferisce lasciare da parte la sua vita privata e la possibile storia d’amore che stava prendendo forma con un suo collega produttore (Patrick Wilson) per  buttarsi a capofitto nel lavoro... fin quando potrà.
Il buongiorno del mattino (la cui traduzione del titolo originale è davvero un mistero) è in realtà un’ottima commedia, che regala un Harrison Ford insolito ma davvero divertente e una Diane Keaton irriverente e simpatica, per non parlare poi del bravo (ma sottovalutato) Jeff Goldblum. Non fatevi ingannare… non si tratta della solita commedia romantica, ma di un buon film che racconta con ironia e sincerità l’amore per il lavoro ovvero per come fare una buona informazione e la bellezza di lavorare in un team affiatato.
La ricetta di oggi è una frittata, perché proprio nel film, quando Becky sembra sul punto di far carriera e accettare un nuovo impiego, Mike Pomeroy si improvvisa chef ai fornelli e prepara una semplice e gustosa frittata, che svela cucinare solo per le persone a cui tiene veramente. Venendo meno a tutti i suoi preconcetti sulla vera informazione fatta solo di scoop, è una chiara dichiarazione per Becky di come abbia deciso di piegarsi verso un nuovo modo di affrontare anche le notizie apparentemente più frivole.
Qui vi propongo una mia personale frittata… altrimenti nella ricetta classica dell’American frittata è previsto l’uso di patate, cipolle, prosciutto americano a cubetti e formaggio cheddar.


Ingredienti (per 3 persone): 6 uova, 3 cucchiai di scamorza affumicata a cubetti, 3 cucchiai di prosciutto cotto a cubetti, olio extra vergine d'oliva, sale e pepe.

Procedimento:
1) Preparare il prosciutto e la scamorza a cubetti;
2) Rompere le uova in una ciotola capiente e sbatterle leggermente con l’aiuto di una forchetta;
3) Preparare una padella antiaderente e porre al suo interno un po’ di olio extravergine d’oliva, che andrà fatto scaldare appena;
4) Poco prima di versare le uova nella padella calda, condirle con un pizzico di pepe e di sale;
5) Dopo aver versato una metà delle uova sbattute, procedere a muovere continuamente la padella avanti e indietro in modo da non far attaccare la frittata al fondo;
6) Lasciarla cuocere a fuoco dolce per almeno 4-5 minuti;
7) Cospargere la superficie con i cubetti di prosciutto e formaggio e poi versarvi sopra anche la restante parte delle uova sbattute in precedenza;
8) Dopodiché riporre la frittata all’interno del forno già caldo a circa 180°-200° (N.B.: lasciar il manico in plastica  fuori dal forno se non lo volete far fondere) e far cuocere fin tanto da creare una superficie soffice e appena dorata;
6) Servire la frittata ancora calda (N.B.: in accompagnamento ho scelto delle cime di cavolo nero condite con un pizzico di sale e olio, che con il loro amarognolo si sposavano con il sapore un po’ dolciastro degli ingredienti della mia frittata).

P.S.: ho scelto la tecnica del forno, così evito di rovinare la frittata girandola con il classico aiuto del coperchio! ;)

venerdì 4 aprile 2014

La mia classe: storie che emozianano

Adoro sempre di più imboscarmi nei piccoli cinema, specialmente da quando è possibile gustare solo in luoghi simili le pellicole snobbate dai cinema multisala, anche se meritano di esser viste per la loro bellezza e genuinità molto di più dei film delle grandi case di distribuzione.
A corti discorsi… sono riuscita finalmente a vedere La mia Classe, l’ultimo film del regista e documentarista Daniele Gaglianone (anconetano di nascita ma torinese d’adozione) con un eccezionale come sempre Valerio Mastandrea.
È certamente un film fuori dal coro, soprattutto per come è stato girato e come ha deciso di raccontare l’integrazione degli immigrati nel nostro Bel Paese. Spesso ci si trova in difficoltà a capire dove finisce la finzione e dove inizia la realtà e viceversa. Sembra quasi che non esista copione e forse così è, in modo particolare quando si è rapiti dalle storie strazianti di ciascuno dei personaggi che popolano una piccola classe di extracomunitari, vogliosi di apprendere la lingua italiana.
Valerio Mastandrea veste i panni di un maestro, il quale insegna in modo appassionante e comico la propria lingua madre a un gruppo eterogeneo di stranieri, che bramano un lavoro per ottenere il permesso di soggiorno e tentano quotidianamente di integrarsi nella società.
Cosa succede però quando la scena finisce e anche la troupe e il regista entrano nell’inquadratura? Un errore di montaggio? Per niente. Tutti in questa storia sono personaggi.
Gli immigrati interpretano se stessi coinvolgendo con le loro storie da ogni parte del mondo, cariche di nostalgia e dolore, che si tramutano in calde lacrime… anche sul viso degli spettatori, impotenti di fronte a racconti così strazianti e interrotti da singhiozzi e voci strozzate.
Sin dall’inizio del film lo spettatore viene spiazzato, pensando di assistere più a un documentario che a un film, quando vede i fonici alle prese con i vari microfoni sugli attori o quando un problema di permesso di soggiorno non rinnovato a uno degli attori africani minaccia di bloccare il film.
Cosa succede? Realtà e finzione sono la stessa cosa? Sembra quasi che questa domanda debba risolverla lo spettatore da solo.
Un film potente, commovente e spesso divertente grazie all’involontaria comicità dell’intero gruppo di attori stranieri e di un Mastandrea sempre più bravo. La mia classe vuol dare un briciolo di dignità a tutti coloro che vogliono sentirsi parte viva di un progetto e, pur lasciando aperti molti interrogativi su diversi personaggi, conquista ugualmente per l’alta poeticità delle immagini e dei primi piani di persone che hanno veramente sofferto per cercare fortuna in un paese che, per via di una crisi aberrante, non accetta il diverso, additandolo come usurpatore di lavori che spesso gli stessi italiani si rifiutano di fare.
Invito tutti ad ascoltare con attenzione (come nel film) le parole della magnifica canzone L’autostrada di Daniele Silvestri, che, quasi come una reale poesia in musica, esplicita in modo chiarissimo il silenzio e l’indifferenza che spesso gli stranieri (e non) si trovano a sopportare in una società sempre più chiusa e povera di emozioni.


martedì 1 aprile 2014

Profumo di cannella!

Tutti gli inguaribili romantici adorano i film del regista Gary Marshall (noto per le sue commedie rosa ben confezionate come Pretty Woman, Paura d'amare e via discorrendo), perché riesce a creare pellicole con la giusta dose di spensieratezza e romanticismo. Campione d’incassi è stato senza dubbio Se scappi, ti sposo (titolo originale Runaway Bride, 1999), forse anche perché vide il fortunato ritorno della coppia Julia Roberts e Richard Gere, supportati da un ottimo cast tra cui figurano nomi come la bravissima Joan Cusack e l'istrionico Hector Elizondo
Ike Graham (Gere) è un giornalista di New York della famosa testata USA Today, che è sempre alla ricerca di un ottimo scoop per la sua rubrica e per caso si imbatte nella stramba storia di Maggie Carpenter (Roberts), la padrona di una ferramenta, a cui piace torturare gli uomini scappando letteralmente da loro e abbandonandoli sull’altare. La "sposa che scappa", però, non ci sta e scrive una lunga lettera al direttore del giornale (nonché ex-moglie dello stesso giornalista), in cui esige delle scuse ed elenca tutte le cose non vere citate nell’articolo. Lui viene licenziato immediatamente, ma, pur di vendicarsi, decide di andare a verificare di persona la veridicità dei fatti narrati e si reca così nel piccolo paesino dove vive Maggie. A mano a mano conoscendo tutti i membri della famiglia, i suoi amici e il futuro fidanzato (ma anche tutti gli altri poveretti che sono stati lasciati dalla donna-virago), Ike si rende conto di quanto poco la conoscano gli altri, a cui piace molto beffeggiarsi di lei e delle sue disavventure amorose. Non appena lui le fa capire di amarla e di aver capito (meglio di lei) cosa si meriti veramente, le chiede di sposarlo. Tutto sembra filare liscio, quando anche stavolta Maggie scappa via… Solo dopo che lei avrà fatto ordine nella sua vita, sarà pronta a ritornare da lui per un finale romantico alla Marshall.
La ricetta di oggi è tratta dal momento in cui Ike incontra Maggie in pasticceria, dove lei è andata a scegliere la torta e i pupazzetti da mettervi in cima. Simpatico siparietto tra i due, che si conclude con il giornalista che se ne va comprando dei dolci panini alla cannella, il cui profumo aveva inondato l’intero negozio.

I panini alla cannella, meglio noti come Cinnamon rolls, sono ottimi per la colazione o una merenda sfiziosa. Si tratta di piccoli dolci lievitati nativi del Nord Europa (molto probabilmente della Svezia), ma adottati anche nel Nord America. Io ne sono rimasta entusiasta!

Ingredienti:
Per l’impasto: 250 g farina Manitoba, 250 g farina 00, 1 cubetto di lievito di birra, 50 g zucchero semolato, 50 g burro, 1 uovo, 250 g latte parzialmente scremato, un pizzico di sale e una fialetta di vaniglia (oppure un baccello intero)
Per il ripieno: 100 g di zucchero semolato (o di canna) e un cucchiaio di cannella in polvere
Per la glassa (a piacere): zucchero a velo e acqua naturale q.b.

Procedimento:
1) Sbriciolare il lievito di birra e scioglierlo nel latte appena intiepidito;
2) Versare la farina in una ciotola capiente e disporla a mo’ di fontana;
3) Unire il lievito sciolto nel latte insieme a tutti gli altri ingredienti e iniziare a impastare energicamente;
4) Dopo aver ottenuto un impasto liscio ed elastico, lasciarlo riposare fin quando, grazie a una lievitazione di circa 2 ore, avrà raddoppiato di misura;
5) Dopodiché prendere l’impasto e stenderlo, facendo in modo che assuma una forma rettangolare spessa circa mezzo centimetro;
6) Distribuire su tutta la superficie lo zucchero profumato alla cannella e arrotolare poi l’impasto in modo da ottenere un lungo rotolo (N.B.: in molte versioni si suggerisce di unire allo zucchero e alla cannella del burro ammorbidito, ma io ho optato per una versione più light);
7) Tagliare con delicatezza il rotolo di pasta in fettine spesse circa un centimetro e mezzo;
8) Disporre le fette ottenute su di una teglia coperta con della carta forno e lasciar lievitare fino a quando i panini non avranno di nuovo raddoppiato di volume;
9) Infornare nel forno già caldo a 180°C per circa 25-30 minuti fino a quando la superficie dei panini sarà ben dorata;
10) Decorare a piacere quando sono ancora caldi con una semplice glassa, ottenuta mescolando lo zucchero a velo con pochissima acqua.

P.s.: Giusto per restare in tema, mi sembrava carino richiamare nella foto l’idea di due sposini (disegnati da me)!!! ;)