domenica 15 maggio 2016

Lenny Abrahamson sorprende con “Room”

Non si può ridurre la trama di Room del regista Lenny Abrahamson alla sola storia di una madre e un figlio… è molto altro. Molto di più.
La prima parte del film è ambientata all’interno di “stanza”, l’unico vero mondo conosciuto da Jack, il piccolo protagonista; non si è mai sentito in trappola, grazie a una madre forte e coraggiosa, Joy (chiamata semplicemente “Ma”), che è riuscita a educarlo come se davvero quel luogo così angusto, in cui sono tenuti prigionieri da anni, potesse essere comunque un luogo perfetto semplicemente perché erano insieme.
La realtà, però, è ben diversa e “Ma” lo sa bene. Lei non ha sempre vissuto in “stanza” e vorrebbe tanto tornare nel mondo reale che non è certamente quello racchiuso da quattro pareti luride, così pian piano la rassegnazione di “Ma” lascia spazio alla rabbia e alla voglia di evadere, perché si rende conto che Jack ha il diritto di conoscere quello che c’è davvero di bello all’esterno e che non riuscirà ancora per molto a sopperire alla sua curiosità e alle sue numerose domande.
La verità, però, è difficile da accettare per un bambino di soli cinque anni, convinto che il suo mondo è stato sempre e solo quello e che non ci sia altro all’esterno, ma con difficoltà e tanta paura, il suo coraggio guiderà entrambi verso la libertà.
Così mentre il bambino comincia a crescere, abituandosi ai volti dei nuovi familiari, ai giocattoli e agli ambienti della casa della nonna in cui sono ospitati momentaneamente, Joy subisce un colpo di arresto e sembra come implodere: il sapore della libertà dopo 7 lunghi anni di segregazione e abusi ha un gusto davvero dolce, ma dover riprendere in mano la propria vita non è così semplice come pensava.
È sorprendente il fatto di come il film non ristagni mai nonostante la scena risulti davvero claustrofobica nella prima parte e di come, scegliendo il punto di vista del piccolo Jack, la prospettiva anche delle scene più dure (ad esempio le regolari visite del loro aguzzino Old Nick che continua ad abusare della giovane ragazza) risulti appianata anche per lo spettatore.
Un equilibrio perfetto nella recitazione dosata con maestria dei due protagonisti (anche se il piccolo Jacob Tremblay ha davvero offuscato la bravura di Brie Larson in diversi momenti, specialmente nella scena della fuga quando i suoi occhioni sono sgranati per la meraviglia di poter ammirare il cielo, le nuvole e le chiome degli alberi per la prima volta) e nel racconto, dove vengono toccati numerosi aspetti dell’amore forte tra madre e figlio, dell’uso del tempo e del significato di due concetti dati forse troppo per scontato come felicità e libertà.