giovedì 29 gennaio 2015

La torta clementina di Walter Mitty

I sogni segreti di Walter Mitty (titolo originale The Secret Life of Walter Mitty) di e con Ben Stiller (che finalmente si spoglia dei soliti panni vestiti nelle commedie demenziali che lo hanno fatto conoscere al grande pubblico), insieme a Kristen Wiig, Adam Scott e la partecipazione di Shirley MacLaine e Sean Penn.
Non lo avrei mai detto ma il film è molto meglio di quanto mi aspettassi già. Vince su tutto la meravigliosa fotografia coadiuvata dalla scelta di paesaggi e scorci mozzafiato, il tutto abbellito da un’ottima mano alla regia, da una splendida colonna sonora e da un copione per nulla scontato, condito con quel pizzico di humour che tanto contraddistingue lo spirito di Stiller.
Walter Mitty (Stiller), un semplice editor fotografico presso la rinomata rivista Life, si incanta spesso a occhi aperti, perdendosi in sogni avventurosi, dove riesce a trasformarsi da persona timida e silenziosa a uomo coraggioso, che non teme nemmeno le sfide della natura. 
Un giorno, però, la sua piatta routine verrà sconvolta dallo smarrimento di un importantissimo negativo per l’ultima copertina del giornale, inviato dall’acclamato fotografo Sean O'Connel (Penn).
In tanti anni di onorato servizio Walter non ha mai smarrito nulla, quindi, intenzionato a ritrovarlo, parte in balia dell’ignoto e di pochi indizi pur di riuscire a parlare con il fotografo.
Il suo viaggio si trasformerà presto in un’avventura, ancor più entusiasmante di quanto immaginato fino ad allora solo a occhi aperti e ricca di colpi di scena che lo aiuteranno nella riscoperta di se stesso e alla conquista di Cheryl (Wiig), la donna di cui era segretamente innamorato da tempo.
La fine del film regala una quantità immensa di sensazioni positive, con cui ci si convince che è meglio lasciarsi andare e vivere i propri sogni, tentando a tutti i costi di essere la persona che si è sempre voluto diventare.
Tutti sapete che cerco una ricetta in ogni film e mai come in questa pellicola un dolce diventa co-protagonista nella storia. Si tratta della torta clementina: ignoravo l’esistenza di questo dolce, ma è stata una piacevole scoperta, perché è una torta semplicissima da preparare, molto morbida e leggera e da un ricco sapore agrumato.



Ingredienti (per uno stampo di 20 cm di diametro): 4 clementine, 6 uova, 200 g di zucchero semolato, 250 g di mandorle tritate finemente, 1bustina di lievito per dolci, acqua q.b. e zucchero a velo q.b.

Procedimento:
1) Sbucciare le clementine e, dopo averle messe in un pentolino e ricoperte di acqua, lasciarle cuocere per almeno 2 ore (N.B.: in molte ricette addirittura si possono far bollire le clementine con la buccia);
2) Lasciarle raffreddare, dopodiché frullarle (privandole di eventuali semi) fino a ottenere una cremina uniforme (N.B.: nel caso le avete cotte con la buccia, potete frullare anche quella, a patto che si tratti di frutta biologica);
3) Montare gli albumi a neve;
4) Sbattere i tuorli con lo zucchero e unire poi la farina di mandorle insieme al lievito e anche la polpa di clementine frullate;
5) Aggiungere gli albumi montati e delicatamente mescolarli al resto del composto dal basso verso l’alto;
6) Infarinare la teglia (o in alternativa foderarla con della carta forno) e, dopo aver versato tutto il composto all’interno, far cuocere la torta a 180° per circa 45 minuti.
7) Una volta che la torta si è raffreddata, decorare con dello zucchero a velo e delle scorzette o fettine di clementine candite (ottenute semplicemente facendole caramellare con un po’ d’acqua e zucchero).

P.s.: Nel film la torta era ricoperta di glassa al burro, ma non essendo una cosa di mio gusto, ho preferito del semplice zucchero a velo visto che la torta si presenta già bella umida e morbida. Nulla, però, vi impedisce di preparare un classico frosting aromatizzato con del succo di clementine.

venerdì 23 gennaio 2015

Storie davvero... pazzesche!!!

Assolutamente da non perdere il film argentino (candidato anche come miglior film straniero agli Oscar 2015) Storie pazzesche (titolo originale Relatos salvajes) del regista Damián Szifrón (cineasta semi-sconosciuto in Europa, ma molto apprezzato anche come autore in patria) con Ricardo Darín, Oscar Martínez, Leonardo Sbaraglia, Maria Marull e Darío Grandinetti.
La pellicola si compone di 6 episodi, ognuno con una propria storia (semi-)realistica, che spesso tocca alti livelli di violenza un po’ pulp, accomunati però dallo stesso fenomenale humour nero. A causa di un caos sia interiore che sociale, ogni personaggio si trasforma e scatena il proprio lato oscuro, in modo più o meno eclatante. Non sempre, infatti, l’evoluzione delle varie storie riesce a raggiungere il climax di emozioni in egual misura, ma non per questo si può penalizzare una sceneggiatura dal taglio realmente ottimo.
Davvero esilarante la storia in apertura, dove il sentimento di vendetta è il vero protagonista che si aggira all’interno di un volo, dove riecheggia sulla bocca di tutti i (malcapitati) passeggeri il nome di Gabriel Pasternak.
In una tavola calda sperduta una cameriera si ritrova per caso a servire l’usuraio che ha rovinato la sua famiglia, portando il padre disperato al suicidio. 
A causa di un sorpasso e di una gomma a terra una lite tra due guidatori sfocia in un lento e sanguinoso gioco al massacro. 
Un ingegnere esperto in detonazioni saprà come vendicarsi di tutte le multe subite “ingiustamente”, diventando un acclamato eroe popolare.
Forse il più carente di risate ma quello dal lato più dark di tutti, l’episodio in cui si assiste alle conseguenze di un incidente provocato da un giovane pirata della strada e per rimediare si ricorre al Dio denaro… ma si scopre tristemente che ognuno ha il suo prezzo. 
Un po’ kitsch, senza dubbio, la storia in chiusura che vede l’escalation di emozioni, baruffe e ricatti scaturite dall’infedeltà dello sposo scoperta proprio nel giorno delle nozze.
Una commedia dalle sfumature un po’ dark ben riuscita, che riesce a far sorridere lasciando allo stesso tempo l’amaro in bocca. Una carrellata di personaggi più o meno mostruosi che trasudano cattiveria in contesti legati alla quotidianità di chiunque.
Non tutti gli episodi garantiscono lo stesso livello di comicità, ma va dato atto alla bravura e all’espressività degli attori (ahimè quasi sconosciuti in Italia) e all’ottima regia dai toni incalzanti.


P.s.: Secondo il mio modesto parere sembra insensato che nei cartelloni o nel trailer debba comparire a caratteri cubitali il nome di Pedro Almodovar (uno dei produttori del film) solo per dar maggior richiamo a una pellicola più che meritevole. La qualità da sola non paga più ormai!

giovedì 15 gennaio 2015

Il gioco dell'imitazione

Dopo un'incredibile attesa ho finalmente visto The Imitation Game del semi-sconosciuto regista norvegese Morten Tyldum, che vede tra i protagonisti principali Benedict Cumberbatch, Keira Knightley, Matthew Goode e Mark Strong... ma non ne sono rimasta particolarmente colpita!
Dopo lunghi anni di silenzio da parte del regno britannico è arrivata sul grande schermo la storia di Alan Turing, precursore e padre dell’informatica nonché una delle menti matematiche più brillanti di inizio '900, che con il suo genio cambiò per sempre il corso della storia. Durante la Seconda Guerra Mondiale, infatti, fu affidato a lui e a un ristretto gruppo di linguisti e decrittatori il delicato compito di decodificare Enigma, il codice usato dai tedeschi per comunicare in segreto le proprie azioni militari. Volutamente cancellato dalla storia per via delle sue tendenze omosessuali, solo di recente sono stati resi noti i dettagli di come con il suo lavoro diede un apporto decisivo alla vittoria delle forze alleate contro Hitler, anticipando la fine della guerra e salvando milioni di vite. Morì suicida a soli 41 anni dopo esser stato processato e condannato a subire la castrazione chimica per la sua diversità.
La pellicola tenta di tracciare i momenti più significativi della vita di un eccentrico e visionario matematico dal carattere introverso, capace di decifrare i codici più difficili al mondo ma inadeguato nel comprendere i comportamenti più semplici delle persone al suo fianco.
Tratto dal libro “Alan Turing. Storia di un enigma” di Andrew Hodges, The Imitation Game non è un film così incisivo, ma può certamente vantare la partecipazione di bravissimi attori (anche se gli unici a brillare sono Cumberbatch e Strong) e di ottime ambientazioni scenografiche.
Sullo sfondo, invece, il film si concentra sull’intreccio di segreti che comportava lavorare per una missione segreta a quei tempi ma anche i segreti di natura personale legati all’essere diversi per la società inglese perbenista degli anni ’50 che riconosceva l’amare una persona del proprio sesso un delitto.
Peccato davvero per la poca brillantezza stilistica con cui si è deciso di affrontare questa storia. Nullo è valso scegliere di frammentare il racconto su tre livelli con continui flashback e flashforward, che ripercorrono la vita di Turing da adolescente, da adulto e negli ultimi anni della sua vita. Si esce incompleti nonostante la potenza della storia della genialità di un uomo, tenuta nascosta al mondo solo per ipocrisia.


P.s.: il titolo del post di oggi è volutamente "provocatorio"... per una volta ho tradotto io il titolo di un film straniero, che i distributori internazionali hanno avuto la brillante e felice idea di mantenere in originale!

venerdì 9 gennaio 2015

Fincher torna alla grande!

L'amore bugiardo (titolo originale Gone Girl) è l'ultima fatica cinematografica firmata dal regista David Fincher, noto per film come Seven, Fight club, Zodiac, Il curioso caso di Benjamin Button e The social network, che vede tra i protagonisti principali Ben Affleck, una straordinaria e inquietante Rosamund Pike (conosciuta per i ruoli ricoperti in Orgoglio e Pregiudizio, Il caso Thomas Crawford, An Education o We Want Sex) e Neil Patrick Harris.
Tratto dall'omonimo romanzo di Gillian Flynn, che firma anche la sceneggiatura, il racconto della storia d’amore tra Nick (Affleck) e Amy (Pike) viene scandito inizialmente dai momenti più significativi annotati dalla stessa in un diario: dal loro primo incontro a New York, dove entrambi vivono e lavorano come scrittori, al primo romantico bacio dato sotto una leggera nuvola di zucchero, alla proposta di matrimonio, ai primi problemi finanziari e lavorativi che iniziano a incrinare il rapporto e alla partenza per il Missouri, dove i due sono costretti a trasferirsi per accudire la madre di lui malata di cancro al seno e dove continueranno a restare, anche se immersi in una noiosa routine. Nel giorno del loro quinto anniversario Amy scompare misteriosamente e piano piano tutte le prove conducono gli ispettori di polizia a pensare a un possibile omicidio, di cui il principale indiziato è proprio il bel maritino dal sorriso sornione a favore di telecamera.
Qual è la verità e dove si nasconde? Chi è la vera vittima e chi il carnefice? Si conosce davvero chi scegliamo di avere accanto per tutta la vita? Quando l’amore naufraga e si trasforma in rivalsa o addirittura in follia?
Da tempo non assistevo alla messa in scena di un thriller così ottimo per contenuti e regia (Fincher e la macchina da presa diventano la stessa cosa, regalando inquadrature a dir poco perfette), per nulla scontato nella scelta dei temi e stili narrativi, dal ritmo serrato con flashback e colpi di scena continui, per cui è impossibile distogliersi o perdere il filo.
Il grande pregio di questa pellicola è di tenere in primo piano la dinamica di una coppia di innamorati in apparenza senza macchia, che invece nasconde molti segreti e di trattare sullo sfondo anche il grande problema dei mezzi di comunicazione odierni. I media riescono a dire tutto e il contrario di tutto, evidenziando allo stesso tempo la superficialità delle persone comuni che arrivano a fare qualsiasi cosa pur di diventare famosi apparendo pochi secondi in tv o in un selfie. Un meccanismo perverso in cui si può restare imprigionati e venirne distrutti. Anche nella realtà di tutti i giorni noi stessi assistiamo attraverso i media a un sistema sociale senza valori e morale e siamo spesso messi di fronte alle notizie in modo sempre più costruito e già di parte. L’apparire è la chiave di tutto ormai.