Un giorno qualsiasi per le strade di Teheran in un taxi guidato dal regista Jafar Panahi, il quale percorre le strade vivaci della città in compagnia di (più o meno strambi) passeggeri che finiscono per discutere dei problemi della società iraniana o semplicemente confidarsi con lui.
Ma sono semplici personaggi o persone comuni ignare di essere all’interno di un film? In diversi momenti del film, infatti, lo spettatore si trova spiazzato e si interroga sulla completa veridicità di quelle immagini ora comiche ora drammatiche ma anche delle parole di quei passeggeri tanto particolari e ognuno con un proprio vissuto alle spalle.
A parte la spigliata nipotina Hana e l’avvocatessa Nasrin Sotoudeh specializzata in diritti civili, tutti i passeggeri sono attori non professionisti rimasti anonimi, infatti nel film non sono presenti i titoli di coda appunto per motivi di sicurezza.
In maniera del tutto paradossale il regista tratteggia il ritratto della società iraniana di oggi, regalando un film atipico, che certamente lo spettatore comune fa fatica ad accettare vista anche la staticità delle inquadrature fornite per la maggior parte del tempo dalla telecamera fissa sul cruscotto.

La sua pellicola trasuda arte e parla di cinema proprio attraverso la finzione, ma allo stesso tempo è anche un mezzo sociologico per far conoscere meglio un paese ricco di contraddizioni come l’Iran, che si sta trasformando gradualmente nonostante proibizioni e censura.
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