domenica 13 gennaio 2013

La perfezione di Paul Thoman Anderson

Come avevo immaginato e già preannunciato nel mio post di settembre, The Master di Paul Thomas Anderson è un capolavoro e merita davvero di esser visto, perché è quel genere di film “insolito” per la sua bellezza, data da un'estrema poeticità e da una perfezione ricercata dietro ogni inquadratura, ogni primo piano e ogni scambio di battute. Nulla è lasciato al caso... ogni dettaglio e ogni gesto nascondono un significato ben preciso.
E' un film che in fondo non fa che parlare di due vite agli antipodi, due personalità tanto diverse in apparenza ma tanto simili, in quanto entrambe alla ricerca di risposte.
Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman) è il capo di una setta denominata La Causa, che, utilizzando metodi quali ipnosi, sedute di salti temporali e altri generi di esperimenti psicologici, vuole creare una disciplina fondata solo sulle sue idee assolute da diffondere nell'America degli anni '50, ancora scossa dalla seconda guerra mondiale e molto facile da plagiare.
Sul suo cammino inciampa Freddie Quell (Joaquin Phoenix), un povero reduce disgraziato, alcolizzato e ossessionato dal sesso, che si trasformerà nel suo braccio destro fidato e nel suo allievo più difficile.
Tra i due si instaura sin da subito un rapporto molto intenso, perché intuiscono di aver bisogno l’uno dell'altro. Il primo deve dare prova di tutti quei dogmi che ha dettato e promosso in giro per il paese e il secondo, che non è riuscito ancora a trovare la sua strada, forse vuole essere salvato o più semplicemente far parte di qualcosa in cui crede di poter fare la differenza (magnifica la sequenza delle domanda a raffica del primo esperimento, che è tutta giocata sui primi piani dei due attori). Il Maestro-Hoffman cerca la perfezione e aborra l'istinto animalesco che tutti gli uomini nascondono dentro di sé e fanno fatica ad abbandonare, poiché sostiene che l’uomo è un essere perfetto. Freddie, però, pur provando in tutti i modi a entrare nell’ottica della Causa e a credere fermamente che il Maestro rappresenti per lui una sorta di cura, non riesce a trasformarsi, perché il suo modo di essere è ormai talmente radicato nel profondo, che sa per primo (e meglio di altri) che non potrà mai cambiare.
Forse il finale lascia un po' desiderare... io avrei preferito come conclusione il magnifico primo piano di Freddie che, per l'ultima volta di fronte al suo amico e mentore, capisce che non potrà mai far parte di quel movimento e una languida lacrima solca il suo viso sofferto. 
Philip Seymour Hoffman ha dato ancora prova della sua immensa bravura, che, in tutta sincerità, rimane completamente offuscata dalla straordinaria prova attoriale di Joaquin Phoenix, che con questa interpretazione ha raggiunto dei livelli mai visti. Pensando, inoltre, che il regista Paul Thomas Anderson ha soli 43 anni, possiamo ancora aspettarci tanto da lui… e non vedo l’ora!




P.s.: Dopo la meritata vittoria del Leone d'Argento e della prestigiosa coppa Volpi (in ex aequo per Phoenix e Hoffman) al Festival del Cinema di Venezia, sono certa che questa pellicola farà man bassa anche di altri importanti ricononoscimenti come i Golden Globes e gli Oscar (anche se ancora non mi capacito del fatto che non sia stato nominato Anderson per la miglior regia).

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