mercoledì 28 novembre 2012

Mazzantini & Castellitto: coppia vincente non si cambia

L’attesa di andare a vedere questo film è stata ampiamente ripagata, anche se non è una storia semplice e ti lascia andar via con tanti pensieri e dubbi.
Venuto al mondo è innanzitutto una profonda e appassionata storia d’amore tra due ragazzi ma allo stesso tempo è una storia sulla maternità e sul significato di essere figli.
Tutto ha inizio a Sarajevo, durante le Olimpiadi Invernali del 1984, dove, grazie a Gojko (il talentuoso attore bosniaco, Adnan Haskovic), estroso poeta e guida per la città, una studentessa italiana, Gemma (Penelope Cruz) incontra un giovane fotografo americano, Diego (Emile Hirsch, che inizialmente sembra troppo tirato e artificioso per poi solo alla fine regalare un'intensità espressiva che pochi altri attori sono capaci di trasmettere). I due non riescono a non innamorarsi l'uno dell'altra e proprio lui, con tutta la sua spensieratezza e a tratti scelleratezza, farà del tutto per conquistarle il cuore e farla sua per sempre.
Dopo vari aborti spontanei i due non si danno per vinti e tentano anche l'inseminazione artificiale, ma nulla: Gemma risulta sterile al 97% e quindi è impossibile che riesca a dare un figlio al suo amato Diego.
Fallisce purtroppo anche il tentativo di adozione a causa del passato turbolento fatto di droga e abusi di lui e anche la stessa psicologa (Jane Birkin in una breve ma intensa apparizione) che doveva valutarli idonei a essere dei bravi genitori è dispiaciuta e li congeda dicendo proprio che non se lo meritano perché due ragazzi così buoni non li aveva mai incontrati.
Nonostante tutto lui non smette di amarla neanche per un secondo; eppure qualcosa per Gemma è cambiato.
Si sente inutile e ha paura di perdere l'uomo che ama. Come aveva svelato lei stessa alla psicologa, l'idea di avere un figlio non era tanto legata a una forte voglia di maternità quanto all'avere un “lucchetto di carne” capace di tenere legato a sé l’uomo che ama veramente.
Gemma continua a sentirsi difettosa e non può pensare a un futuro senza figli.
Cosa fare allora? Lasciarsi? No, i due provano l'ultima strada rimasta. Decidono di tornare a Sarajevo in pieno tempo di guerra e, andando a trovare i loro vecchi amici, tentano di trovare una donna disposta a prestare il proprio ventre per procreare un figlio loro. Incontrano Aska (Saadet Aksoy), una giovane e bella musicista disponibile a prestare il suo utero in modo da accogliere una gravidanza e cedere poi il piccolo nascituro in cambio di soldi. Il senso di colpa legato alle conseguenze di quella scelta e non finiranno per smantellare i pochi resti dell'amore che sembrava ancora legare Diego a Gemma. Questa loro storia, infatti, col tempo diventa una storia di guerra anche a livello umano.
Grazie a un gioco continuo di flashback, passati quasi vent'anni, dopo un'inaspettata telefonata di Gojko, Gemma decide di far ritorno a Sarajevo in occasione di una mostra fotografica dei tempi dell'assedio e porta con sé il figlio Pietro (Pietro Castellitto, molto acerbo ma allo stesso tempo tanto realistico nella sua recitazione asciutta), ignaro della verità sulla sua nascita avvenuta in un teatro di guerra ancora in corso. Tornando in quella città, Gemma viene sopraffatta dai ricordi di un amore perduto ma mai dimenticato e verrà messa alle strette con molti segreti taciuti.
Il finale, che certo non vi svelerò, finisce per proteggere il destino di questo figlio tanto amato e desiderato da una verità troppo amara e dura da dover conoscere e con cui convivere. Essere figli evoca qualcosa di più complicato nel nascere semplicemente dal ventre di una donna che può anche non diventare madre di colui che ha generato, perché, dopo tutto, i figli sono di chi li ama.
Il regista, Sergio Castellitto (nelle vesti anche di attore, interpretando il padre adottivo di Pietro), aiutato nella sceneggiatura dalla stessa scrittrice dell'omonimo romanzo (e moglie) Margaret Mazzantini (tornata a lavorare al fianco del marito dopo l'ottima prova di Non ti muovere), è riuscito a descrivere senza troppi sentimentalismi questa storia di amore e odio ma soprattutto di guerra e pace, fatta di tante sfumature e segreti. Spesso è inciampato in immagini troppo cariche di retorica e alquanto inutili, ma non ha certo risparmiato nulla allo spettatore, trasportandolo con dolore in uno scenario di guerra tanto doloroso. Una guerra rimossa dalla memoria degli europei, cullati nel loro benessere, ma tenuta viva dalle persone che l’hanno vissuta.
Come dice Gojko ci vorrebbe un comico per raccontare la guerra dei Balcani, uno come Buster Keaton... perché ancora oggi, a distanza di tanti anni, lo stesso popolo di Sarajevo ancora non smette di interrogarsi su una guerra tanto atroce “che non ha avuto né vincitori né vinti ma solo sopravvissuti”.
Strano a dirsi ma è un film intenso che racconta molto di più con le parole (a volte quasi troppo belle per essere state messe in bocca a dei personaggi che in svariati momenti sembrano tanto perfetti da far ricordare allo spettatore che sono l'invenzione di una penna audace come quella della Mazzantini) che con le immagini o la musica.


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